Chiunque voglia documentarsi sul movimento femminista in Italia non potrà fare a meno del libro di Antonia Cosentino, Al posto della dote: Case delle Donne. Desideri, utopie, conflitti
(Villaggio Maori, Catania 2014, pp. 130, euro 13,00). L’intento
dell’autrice è salvare la memoria di iniziative sparse per il Paese
prima che le protagoniste siano inghiottite, come tutti noi, dal fluire
del tempo. E lo persegue con un testo dalla scrittura scorrevole e dalla
struttura nitida: in ogni capitolo si racconta ciò che è avvenuto in
una determinata città (Milano, Roma, Bologna, Pisa) e si intervistano
alcune testimoni delle vicende rievocate. Si snodano così le
conversazioni con le milanesi Barbara Mapelli e Nicoletta Gandus; con le
romane Edda Billi e Maria Paola Fiorensoli; con le bolognesi Elda
Guerrra e Annamaria Tagliavini; con la pisana Giovanna Zitiello.
L’ultimo capitolo è doppiamente anomalo: sia perché racconta la
non-costruzione di una Casa delle Donne nella città etnea, sia perché a
spiegare “le ragioni di una sconfitta” non sono alcune singole
personalità, ma un gruppo intero di protagoniste. Impossibile chiudere
saggi come questo senza avvertire una fitta di nostalgia per una
stagione della nostra storia che, con tutte le sue ambiguità, ha offerto
una prospettiva di impegno e, in ultima analisi, un senso alla vita. Ma
non è impossibile trarre, anche, lo stimolo a ricominciare sempre
daccapo: con qualche ingenuità in meno, ma con la stessa determinazione
di lasciare il mondo un po’ meno invivibile di come l’abbiamo trovato.
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