“Centonove” 13.
6. 2014-06-13
CAVADI E IL
SENSO DELLA VITA
“Devi essere tu
quel cambiamento che speri di vedere nel mondo”, affermava Gandhi nel secolo
scorso. In armonia con l’esortazione del Mahatma, Augusto Cavadi nel saggio La rivoluzione, ma a partire da sé (IPOC, Milano, 2014, € 16) si chiede se anche
nella società odierna, “liquida” e senza certezze, valga ancora la pena
impegnarsi per cambiare in meglio il mondo. La sua risposta è senz’altro
positiva. Ed è argomentata in modo tale da parlare alla mente e al cuore del
lettore, con un apprezzabile “understatement” comunicativo, che evita toni e pretese da “guru”: è
come se infatti l’autore ci prendesse amichevolmente per mano, proponendoci, quasi
sottovoce, le sue ponderate riflessioni esistenziali.
Cavadi registra
innanzitutto la crisi, nel mondo occidentale, di tutti i massimi sistemi: religioni
storiche, ideologie politiche, fede nelle potenzialità degli individui. Ma,
nonostante il crollo delle “grandi narrazioni”, con Vasco Rossi che mette
persino in musica questa nostra incertezza “voglio
trovare un senso a questa vita, anche se questa vita (e questa storia) un senso non ce l’ha”, l’uomo contemporaneo
continua ad avere un’enorme “fame di senso”, come sottolineava con sagacia lo
psicoanalista Victor Frankl, sopravvissuto ai lager nazisti. Ecco allora l’urgenza
di trovarlo, un senso alla vita e di darsi anche un progetto per realizzarlo,
perché non siano gli altri a decidere per noi: “è importantissimo prendere coscienza di ciò che, oggi, ispira la
nostra esistenza (…): se scopriamo che si tratta di un valore reale (…)
cercheremo di vivere con più coerenza il nostro progetto esistenziale; se al
contrario scopriamo che si tratta di un valore troppo esiguo … gli concederemo
minor spazio nell’economia della nostra esistenza”. Fondamenti essenziali
su cui poggiare il proprio impegno nel mondo sono allora la fedeltà al reale,
intesa come fedeltà alla Terra e alla Storia, la fiducia nell’essere umano,
nonostante i suoi limiti e fallimenti, e la fiducia nell’Amore, anche senza un
preciso e codificato orizzonte religioso confessionale.
Ci sono poi
alcune condizioni necessarie perché la dimensione personale dell’impegno possa
avere radici solide e profonde: la vigilanza intellettuale: “osservare ciò che accade nella storia; documentarsi (…), riflettere
per farsi un giudizio critico”; la capacità di fruire della bellezza: “a che scopo liberare gli uomini della
miseria economico-sociale se non per aprire loro una prospettiva sulla bellezza
in tutte le sue manifestazioni?”; la cultura della sobrietà e del rispetto
ecologico; il dialogo senza riserve fra tutti gli uomini. Perché possiamo
mettere una “giunta” alla società e lasciarla un po’ migliore di come l’abbiamo
trovata (il termine “giunta” è mutuato dal vocabolario del nonviolento Aldo Capitini) Augusto Cavadi
sottolinea poi l’opportunità che ognuno di noi rifletta, secondo la sua
formazione e sensibilità, sulle parole e sugli esempi di vita di maestri quali Socrate,
Buddha o Gesù Cristo, e ricerchi
in se stesso e stimoli negli altri “ciò
che significa giustizia o bellezza, amicizia o santità”: perché una vita senza
ricerca non è degna di essere vissuta”.
L’autore ci
esorta anche a impegnarci - nel nostro quartiere e nella nostra città, come in
associazioni con un respiro e un raggio d’azione nazionale e internazionale - con
un atteggiamento interiore contraddistinto dalla gratuità, dalla continuità,
dalla socialità, dall’attenzione privilegiata agli ultimi, nella consapevolezza
però che “se sono uno studente che non
studia, un docente che non si aggiorna, (…) un commerciante che evade il fisco,
un funzionario che accetta tangenti … non ho il diritto di illudere me e gli
altri attraverso alcuna forma di volontariato”. E, dopo aver sottolineato
con le toccanti parole di Giacomo Ulivi, il partigiano ucciso a 19 anni per il
suo impegno antifascista, la necessità della partecipazione di tutti alla
gestione della cosa pubblica, l’autore suggerisce alcuni criteri per restituire
lievito e sostanza all’impegno politico: l’importanza di scegliere
rappresentanti politici dotati di un buon bagaglio intellettuale e morale,
capaci di operare delle scelte coraggiose, pronti a rischiare l’insuccesso (“ciò che dobbiamo cercare è la vittoria delle
cause giuste, non la vittoria in quanto tale”), decisi a scegliere la
nonviolenza come metodo ordinario di lotta, capaci di coniugare la micro-politica
con gli orizzonti internazionali.
Nelle ultime
pagine del saggio, davvero illuminanti le riflessioni con cui l’autore ci invita a superare, proprio
al fine di realizzare la rivoluzione a partire da sé, “la schizofrenia sociale per cui si è cristallizzata una rigida
divisione del lavoro fra ‘contemplativi’ e ‘tecnici’ (…) mentre: “un’antropologia lucidamente attenta a tutte
le sfaccettature dell’essere umano non può esimersi dall’elaborare una sempre
più approfondita filosofia della prassi: non per contrapporre contemplazione e
azione, ma per evidenziare la loro comune radice, la loro reciproca
appartenenza e il loro unico fine”. Alla fine Cavadi ci presenta alcuni
“compagni di viaggio”: testi letterari, filosofici e religiosi ai quali è
debitore per le sue scelte “rivoluzionarie”. A questo punto, per approfondire
adeguatamente modelli, metodi e prospettive della rivoluzione a partire da sé,
forse alle cento pagine del libretto se ne sarebbe addirittura dovuta
aggiungere qualcuna in più. Il testo è comunque un ottimo spartito in cui la
partitura musicale dell’impegno è suggerita con grande maestria. Sta a noi
lettori arricchire i suggerimenti di Cavadi con le nostre consapevoli “note”
esistenziali. Maria D’Asaro (“Centonove” n.23 del
13.6.2014, p.32)
1 commento:
Nessun eccesso di generosità: il saggio è utile, illuminante, scorrevole. Buona domenica.
Maria D'Asaro
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