Dal blog di Bruno Vergani (www. brunovergani.it):
Isola di Favignana, inizio di maggio. Luigi Lombardi Vallauri parla a
cinquanta partecipanti. Con gli occhi chiusi e un piacevole rotacismo
fonetico invita a immaginarci su una vetta alpina, poi nel deserto, là
per emanciparci dal piccolo ego, per dilatarci nello spazio immenso che
già siamo. Mi torna alla mente Theilhard de Chardin: «Non è affatto
lontano il giorno in cui l'umanità si troverà biologicamente costretta a
scegliere tra il suicidio e l'adorazione» e a quando, dopo aver
abbandonato la Chiesa cattolica, nel tentar di trovare una via di mezzo
tra suicidio e adorazione avevo visitato filosofie lontane, dèi
stranieri direbbe il vecchio testamento. Quando non si sa se Dio esiste o
non esiste una buona soluzione è farsi buddhisti o neopagani panteisti
o, in subordine, induisti. Alcuni offrivano soluzioni infantili, altri
sofisticate.
Tornano ricordi precisi e mi attardo nel descriverli. Un giorno avevo letto di un vecchio tabacchino indiano, un “realizzato”, che garantiva che tutti noi non siamo nati, quello che nasce è solamente il corpo che non c’entra per nulla con quello che siamo veramente. Diceva che noi siamo coscienza. Energia eterna onnipervadente. Il tabacchino diceva che soffriamo per un equivoco: crediamo di essere il corpo invece che la coscienza impersonale alla quale Vallauri ci indirizzava. Ai quei tempi un po’ mi seccava accettare che come persona non esistevo, forse era meglio come dicevano i cattolici: andare all’ inferno per l’eternità, ma almeno con l’io pimpante e integro. Però che leggerezza staccarsi dalla propria storia, vivere senza memoria, senza giudizio. Vivere senza me stesso. La cosa mi affascinava e a volte mi succedeva davvero di avere un picco di consapevolezza che mi liberava da me stesso. Durava poco, quanto bastava per osservare il carnevale nel quale mi trovavo per essere nato senza averlo chiesto. Mica male, il picco, niente male. Il problema era che se mi si sforzavo il picco non arrivava. Accadeva invece da solo, a capocchia, non dovevo fare assolutamente nulla, ci voleva uno stato mentale come quello che viene spontaneo quando defechiamo. Una mente serena, un po’ assente, staccata e indifferente, allora il picco poteva anche arrivare. Frequentavo luoghi e gente interessate a queste cose. Mistica esotica, India, pellegrinaggi sufi, incontri con sciamani americani. Incontravo salernitani e bergamaschi vestiti da sadu indù che interpretavano il Vedanta alla luce del Vangelo, poi pontificavano ieratici metafisiche idiote. Commistioni dilettantesche d’astrusi sincretismi, drammi liturgici così macchinosi da far impallidire il capo cerimoniere del Vaticano. Il Dio nostrano era ancora lì, aveva solamente cambiato nome: si chiamava l’Uno invece che Iddio e mi invitava ancora ad uscire me stesso, per rimanere immobile a guardare lassù le ineffabili, inesprimibili, alte sfere: palloni aerostatici gonfi di Teorie. Come le scale mobili dell’aeroporto che vanno su e giù il Dio cattolico discendeva verso di me, mentre in quegli ambienti ero io che dovevo ascendere a lui, un salire e un scendere nella sostanza sovrapponibili. Eppure, nonostante l’equivoco, era stato un decennio che mi aveva permesso, in quel darmi da fare per distanziarmi da me stesso e dal Dio nostrano, una certa serenità. Il senso ultimo non l’avevo trovato però il cercarlo mi aveva un po’ divertito, mi aveva fatto divergere, distanziare, dall’angoscia di essere e di non essere. Avevo indagato a fondo, ma la soluzione non l’avevo trovata, ma intanto mi ero sentito un cercatore di verità: un buon intrattenimento. “Cercatore di Verità” era forse figura più importante di “Cavaliere del Lavoro”. Non seguivo pratiche meditative, avevo passato troppi anni in ginocchio davanti a crocifissi di plastica e il mettermi seduto con le gambe incrociate e gli occhi chiusi non mi entusiasmava. Chissà cosa pensavano i miei amici induisti quando rimanevano lì con gli occhi chiusi a meditare? Ascoltavano il respiro? Si sforzavano di non pensare? Forse meglio un crocifisso di plastica. Quando vedevo qualcuno meditare, con gli occhi chiusi e le gambe incrociate, un impulso mi suggeriva di avvicinarmi in silenzio per dargli, a freddo, un calcio nel culo. L’avevo pensato più volte ma non l’avevo mai fatto, chissà forse qualcuno si sarebbe “illuminato”, eppure lì a Favignana il professor Vallauri l’ho sentito credibile e amico. Pensatore arguto nei giorni successivi ha attaccato, senza sconti, le superstizioni diffuse nel sacro oriente.
Tutto sommato forse come i gatti si "è" senza alcun motivo, lo si capisce guardandoli negli occhi che, a lungo termine, se ne fregano di sé stessi e così non hanno padroni. I gatti non equivocano l’io con l’essere, avrei potuto imitarli cercando di funzionare con l’io detronizzato, funzionamento che non chiede e non risponde, come quando digerisco in spontaneità le orecchiette con le rape senza conoscere l'ABC della gastroenterologia. Come quando da una goccia di sperma, essenza di una bistecca e una mela mangiata da mio padre, ero diventato feto e poi spontaneamente uomo. Chissà? Sicuramente la vita che sono in qualche modo continuerà in forme diverse, ritornando mela e poi inorganico. Cenere di magnesio e zolfo. Ed io? Cadavere che arde sulla sponda del Gange consapevole che anche le pietre "sono" anche se non lo sanno, come quando nel sonno profondo mi dimentico di essere. Avrei potuto provare a fare l'induista vivendo, come un gatto, in presa diretta l'istante, omettendo per quanto possibile la personalità. Con l'io rarefatto, senza memoria come un uomo delle caverne, come una mucca che ignora l'humor, senza cultura e storia, che non ama. Condannato a rasentare l'inorganico da vivo, emotivamente mummificato per essere eterno. La faccenda mi lascia perplesso.
Ritorniamo a Favignana. Nel pomeriggio siamo saliti verso il castello di santa Caterina d'Alessandria. All’inizio del percorso Augusto Cavadi ha letto la poesia George Gray di Edgar Lee Masters, un invito al viaggio e un monito sulle conseguenze mortali dovute alla mancanza di iniziativa, al saper rischiare nel moto esistenziale. Durante il cammino delle soste con valorosi interventi dei partecipanti. Giorgio Gagliano ha detto "la sua" suonando il violino, una delle voci più belle disturbata dal vento di tramontana che gli spostava l’archetto, si sa talvolta la natura è indifferente ai canoni estetici degli umani.
Nel dopocena Stefano Zampieri ha dettagliato la figura del consulente filosofico. Apprezzabile il suo disinteresse alla creazione di un albo per tale figura professionale, indizio preciso di un approccio laico.
Il giorno seguente Luigi Lombardi Vallauri ha esposto le ragioni del suo abbandono del cristianesimo con note autobiografiche interessanti condite da humour teologico coinvolgente. In alcuni passaggi invece del cristianesimo esponeva una personale parodia dello stesso, che poi si divertiva a attaccare con virulenza. Cavadi ha risposto con un intervento articolato e convincente, capace di esporre laicamente e filosoficamente il valore del messaggio dell’uomo Gesù di Nazareth, lo ha fatto al posto di un sacerdote cattolico che all’ultimo momento si è defilato forse intimorito dal confronto con Vallauri. Meglio un miscredente che c’è che un credente che non c’è.
Nel pomeriggio Orlando Franceschelli con riferimento al suo ultimo saggio «Elogio della felicità possibile. Il principio natura e la saggezza della filosofia» edito da Donzelli, ha esposto il rapporto tra natura, saggezza e felicità, in una prospettiva filosofica che indica una felicità possibile nell’emancipazione da nichilismi e teismi connessi, come pure dal naturalismo della volontà di potenza di Nietzsche. Un’antropologia dell’ecoappartenenza ben argomentata e avvincente, capace di affrontare le urgenze di significato che l’umano vivere e morire esige. Augusto Cavadi ha annotato che l’indagine filosofica del naturalismo non può escludere, perlomeno come possibilità, un ordine trascendente. Franceschelli nell'invito di Cavadi ha subodorato note di integralismo soft. La tematica è tanto cruciale da suggerire ai due filosofi di attardarsi su tale confronto, magari con la pubblicazione di un libro.
Un’ultima osservazione. Tutto sommato l’integralismo religioso, e non, occupa quegli spazi che il mondo laico lascia deserti. Chi va via perde il posto all’osteria e così sovente la Chiesa cattolica o ideologie fondamentaliste diventano prepotenti abitanti di territori lasciati vuoti dagli uomini di pensiero. Eccezione che conferma la regola sono alcuni filosofi contemporanei capaci di laicità valorosa e propositiva: pensiero attivo del significato dell’esserci, del vivere e del morire. A Favignana c’erano.
Tornano ricordi precisi e mi attardo nel descriverli. Un giorno avevo letto di un vecchio tabacchino indiano, un “realizzato”, che garantiva che tutti noi non siamo nati, quello che nasce è solamente il corpo che non c’entra per nulla con quello che siamo veramente. Diceva che noi siamo coscienza. Energia eterna onnipervadente. Il tabacchino diceva che soffriamo per un equivoco: crediamo di essere il corpo invece che la coscienza impersonale alla quale Vallauri ci indirizzava. Ai quei tempi un po’ mi seccava accettare che come persona non esistevo, forse era meglio come dicevano i cattolici: andare all’ inferno per l’eternità, ma almeno con l’io pimpante e integro. Però che leggerezza staccarsi dalla propria storia, vivere senza memoria, senza giudizio. Vivere senza me stesso. La cosa mi affascinava e a volte mi succedeva davvero di avere un picco di consapevolezza che mi liberava da me stesso. Durava poco, quanto bastava per osservare il carnevale nel quale mi trovavo per essere nato senza averlo chiesto. Mica male, il picco, niente male. Il problema era che se mi si sforzavo il picco non arrivava. Accadeva invece da solo, a capocchia, non dovevo fare assolutamente nulla, ci voleva uno stato mentale come quello che viene spontaneo quando defechiamo. Una mente serena, un po’ assente, staccata e indifferente, allora il picco poteva anche arrivare. Frequentavo luoghi e gente interessate a queste cose. Mistica esotica, India, pellegrinaggi sufi, incontri con sciamani americani. Incontravo salernitani e bergamaschi vestiti da sadu indù che interpretavano il Vedanta alla luce del Vangelo, poi pontificavano ieratici metafisiche idiote. Commistioni dilettantesche d’astrusi sincretismi, drammi liturgici così macchinosi da far impallidire il capo cerimoniere del Vaticano. Il Dio nostrano era ancora lì, aveva solamente cambiato nome: si chiamava l’Uno invece che Iddio e mi invitava ancora ad uscire me stesso, per rimanere immobile a guardare lassù le ineffabili, inesprimibili, alte sfere: palloni aerostatici gonfi di Teorie. Come le scale mobili dell’aeroporto che vanno su e giù il Dio cattolico discendeva verso di me, mentre in quegli ambienti ero io che dovevo ascendere a lui, un salire e un scendere nella sostanza sovrapponibili. Eppure, nonostante l’equivoco, era stato un decennio che mi aveva permesso, in quel darmi da fare per distanziarmi da me stesso e dal Dio nostrano, una certa serenità. Il senso ultimo non l’avevo trovato però il cercarlo mi aveva un po’ divertito, mi aveva fatto divergere, distanziare, dall’angoscia di essere e di non essere. Avevo indagato a fondo, ma la soluzione non l’avevo trovata, ma intanto mi ero sentito un cercatore di verità: un buon intrattenimento. “Cercatore di Verità” era forse figura più importante di “Cavaliere del Lavoro”. Non seguivo pratiche meditative, avevo passato troppi anni in ginocchio davanti a crocifissi di plastica e il mettermi seduto con le gambe incrociate e gli occhi chiusi non mi entusiasmava. Chissà cosa pensavano i miei amici induisti quando rimanevano lì con gli occhi chiusi a meditare? Ascoltavano il respiro? Si sforzavano di non pensare? Forse meglio un crocifisso di plastica. Quando vedevo qualcuno meditare, con gli occhi chiusi e le gambe incrociate, un impulso mi suggeriva di avvicinarmi in silenzio per dargli, a freddo, un calcio nel culo. L’avevo pensato più volte ma non l’avevo mai fatto, chissà forse qualcuno si sarebbe “illuminato”, eppure lì a Favignana il professor Vallauri l’ho sentito credibile e amico. Pensatore arguto nei giorni successivi ha attaccato, senza sconti, le superstizioni diffuse nel sacro oriente.
Tutto sommato forse come i gatti si "è" senza alcun motivo, lo si capisce guardandoli negli occhi che, a lungo termine, se ne fregano di sé stessi e così non hanno padroni. I gatti non equivocano l’io con l’essere, avrei potuto imitarli cercando di funzionare con l’io detronizzato, funzionamento che non chiede e non risponde, come quando digerisco in spontaneità le orecchiette con le rape senza conoscere l'ABC della gastroenterologia. Come quando da una goccia di sperma, essenza di una bistecca e una mela mangiata da mio padre, ero diventato feto e poi spontaneamente uomo. Chissà? Sicuramente la vita che sono in qualche modo continuerà in forme diverse, ritornando mela e poi inorganico. Cenere di magnesio e zolfo. Ed io? Cadavere che arde sulla sponda del Gange consapevole che anche le pietre "sono" anche se non lo sanno, come quando nel sonno profondo mi dimentico di essere. Avrei potuto provare a fare l'induista vivendo, come un gatto, in presa diretta l'istante, omettendo per quanto possibile la personalità. Con l'io rarefatto, senza memoria come un uomo delle caverne, come una mucca che ignora l'humor, senza cultura e storia, che non ama. Condannato a rasentare l'inorganico da vivo, emotivamente mummificato per essere eterno. La faccenda mi lascia perplesso.
Ritorniamo a Favignana. Nel pomeriggio siamo saliti verso il castello di santa Caterina d'Alessandria. All’inizio del percorso Augusto Cavadi ha letto la poesia George Gray di Edgar Lee Masters, un invito al viaggio e un monito sulle conseguenze mortali dovute alla mancanza di iniziativa, al saper rischiare nel moto esistenziale. Durante il cammino delle soste con valorosi interventi dei partecipanti. Giorgio Gagliano ha detto "la sua" suonando il violino, una delle voci più belle disturbata dal vento di tramontana che gli spostava l’archetto, si sa talvolta la natura è indifferente ai canoni estetici degli umani.
Nel dopocena Stefano Zampieri ha dettagliato la figura del consulente filosofico. Apprezzabile il suo disinteresse alla creazione di un albo per tale figura professionale, indizio preciso di un approccio laico.
Il giorno seguente Luigi Lombardi Vallauri ha esposto le ragioni del suo abbandono del cristianesimo con note autobiografiche interessanti condite da humour teologico coinvolgente. In alcuni passaggi invece del cristianesimo esponeva una personale parodia dello stesso, che poi si divertiva a attaccare con virulenza. Cavadi ha risposto con un intervento articolato e convincente, capace di esporre laicamente e filosoficamente il valore del messaggio dell’uomo Gesù di Nazareth, lo ha fatto al posto di un sacerdote cattolico che all’ultimo momento si è defilato forse intimorito dal confronto con Vallauri. Meglio un miscredente che c’è che un credente che non c’è.
Nel pomeriggio Orlando Franceschelli con riferimento al suo ultimo saggio «Elogio della felicità possibile. Il principio natura e la saggezza della filosofia» edito da Donzelli, ha esposto il rapporto tra natura, saggezza e felicità, in una prospettiva filosofica che indica una felicità possibile nell’emancipazione da nichilismi e teismi connessi, come pure dal naturalismo della volontà di potenza di Nietzsche. Un’antropologia dell’ecoappartenenza ben argomentata e avvincente, capace di affrontare le urgenze di significato che l’umano vivere e morire esige. Augusto Cavadi ha annotato che l’indagine filosofica del naturalismo non può escludere, perlomeno come possibilità, un ordine trascendente. Franceschelli nell'invito di Cavadi ha subodorato note di integralismo soft. La tematica è tanto cruciale da suggerire ai due filosofi di attardarsi su tale confronto, magari con la pubblicazione di un libro.
Un’ultima osservazione. Tutto sommato l’integralismo religioso, e non, occupa quegli spazi che il mondo laico lascia deserti. Chi va via perde il posto all’osteria e così sovente la Chiesa cattolica o ideologie fondamentaliste diventano prepotenti abitanti di territori lasciati vuoti dagli uomini di pensiero. Eccezione che conferma la regola sono alcuni filosofi contemporanei capaci di laicità valorosa e propositiva: pensiero attivo del significato dell’esserci, del vivere e del morire. A Favignana c’erano.
6 commenti:
Bruno, avevo già notato che scrivi bene, ma qui sei fortissimo, trascinante ( e poi sei proprio una bella persona)
Caro Bruno,
il commento del grande Pietro Spalla alla tua recensione del festival egusano è proprio giusto!
Le tue parole aiuteranno tutti noi a non smarrire mai il ricordo di Favignana e la consapevolezza di quanto preziosa sia l'amicizia
tra umili ma pazienti e laici ricercatori di saggezza e felicità.
E' proprio vero: sempre in contatto con "gente bella".
Orlando
Associandomi alla generale simpatia per Bruno ne approfitterei per chiedere qualche chiarimento sui commenti entusiastici al suo resoconto. Limitandomi solo alla preponderante parte sull' Oriente non capisco cosa ci sia di "eccezionale, fortissimo e trascinante". Personalmente la trovo una manifestazione di istintiva e legittima preferenza verso il pensiero laico ed occidentale.
Azzardandone una metafora sarebbe come se dicesse: "io preferisco la pipa e trovo che le sigarette non mi siano mai piaciute in quelle episodiche occasioni in cui suppongo di averle provate; prenderei volentieri a calci nel sedere qualcuno che prova a fumarle e soprattutto quelli che dicono che a loro piace insieme ad uno dei più noti loro tabacchini". (suppongo che qui si riferisca al, per me ed altri, grandissimo maestro S. Nisargadatta Maharaj che per vivere gestiva una tabaccheria). Ciao a tutti. Gregorio
@Gregorio. Palese che la preponderante parte sull' Oriente - mere note autobiografiche che possono non piacere o trascinare - non va equivocata con un saggio critico sull’Advaita Vedanta.
Un grazie a chi è piaciuto e a chi non è piaciuto.
Concordo perfettamente con te sulla valenza personale delle tue note autobiografiche e mi sembrava di averlo espresso. Avevo infatti chiesto, a chi le aveva trovate ispiranti, cosa ci avessero trovato sul tema della difficile relazione degli occidentali con il pensiero orientale che personalmente avevo trovato nelle tue parole.Tutto qui. Ciao. Gregorio
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