“Centonove” 23.5.2014
IL VOLONTARIATO COME PROFESSIONE
A Palermo si sono svolti in questi giorni gli “stati
generali” del volontariato con la partecipazione di più di mille organizzazioni
da tutta la Sicilia, regione nella quale opera circa un decimo di quei cinque
milioni di italiani impegnati gratuitamente in questo settore. Che si tratti di
un ambito di attività significativo lo si è sempre saputo e la crisi recessiva
in cui siamo immersi contribuisce a evidenziarlo; ma proprio perché si tratta
di una fetta importante del tessuto sociale bisognerebbe intensificare gli
sforzi mirati a evitarne la degenerazione.
Maneggioni della società civile e del ceto politico
sono riusciti, infatti, in questi due decenni a inquinare il “welfare dei
poveri” strumentalizzando l’etichetta “volontariato” e utilizzandolo come
anticamera di assunzioni clientelari in rami dell’amministrazione pubblica
(famigerato il caso degli operatori sanitari del 118). Ma anche al di fuori
delle falsificazioni ciniche intenzionali, nelle organizzazioni sostanzialmente
oneste, si registrano equivoci e rischi.
Innanzitutto nella sfera delle motivazioni
: perché ci si decide a intraprendere un’attività di volontariato? L’esperienza
attesta, implacabilmente, che troppo spesso lo si decide per aiutare sé stessi
a uscire da una fase di noia o di depressione o di insoddisfazione esistenziale
o di solitudine. Nulla di scandaloso, ovviamente, se si tratta di motivazioni
iniziali; ma molto di disastroso se restano le uniche. Si potrebbero adattare
in proposito le parole che don Lorenzo Milani formulava riferendosi ai
politici: bisogna servire i poveri, non servirsi di essi. Se non radico l’opzione di dedicarmi al
volontariato in una prospettiva mentale più ampia, dove troverò le energie per
resistere al logorio della quotidianità, delle delusioni, dell’ingratitudine?
Ma non basta, ammesso che ci sia, una solida motivazione etica. Occorre
che il volontariato abbia anche una visione
politica. Che senso avrebbe lavorare per mettere le toppe a un vestito
sdrucito senza progettarne uno nuovo? Che senso avrebbe correre qua e là per
soccorrere feriti senza chiedersi perché ci sia una guerra in atto? Il rapporto
con le istituzioni, locali e internazionali, non può ridursi né a mera
contestazione permanente né tanto meno a querula richiesta di sovvenzioni: deve
piuttosto intrecciare la critica con la proposta in modo da ipotizzare, e
contribuire ad attuare, effettivi e duraturi miglioramenti strutturali. Eppure
la consapevolezza politica dei volontari non è più elevata rispetto alla (molto
bassa) media nazionale. Né questa ingenuità disturba qualcuno. Anzi, è proprio
ciò che rende digeribile a tutti il mondo del volontariato perché, come
ripeteva il vescovo brasiliano don Helder Camara, “se do una mano ai poveri, mi
lodano come un buon prete; se mi chiedo come mai il sistema produca tanti
poveri, mi bollano come comunista”.
Solidità delle motivazioni etiche e
lucidità del progetto politico non si improvvisano: occorre una formazione culturale. Ecco perché venti anni fu attivata al
Centro “Pedro Arrupe” di Palermo una “Università della strada” con il
contributo di operatori di varia estrazione e di vario orientamento ideologico. Ma fu un’esperienza
relativamente breve: dopo alcuni
anni il numero degli iscritti calò sino a rendere illogica la continuazione
dell’iniziativa. Chi fa volontariato troppo spesso “va dove lo porta il cuore”,
senza chiedersi se possiede gli strumenti culturali per capire sé stesso e gli
altri; per gestire le dinamiche di gruppo; per promuovere una cittadinanza
adulta e attiva che, al di là dell’emozione per le emergenze, sappia e voglia
costruire una città migliore nella quale, finalmente, il volontariato
risulti…superfluo.
Augusto Cavadi
1 commento:
Considerazioni eccellenti. Le condivido in pieno.
Maria D'Asaro
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