Tra lotta per l'immediato e disimpegno, tertium datur?
Dal periodico online : www.tuttavia.eu
di Augusto Cavadi
Chi
accetta come impianto fondamentale del pianeta la logica capitalistica ,
con i suoi tanti pregi e tantissimi difetti, non può che gioire di
quanto stia avvenendo in Italia: una politica cripto-ideologica (che si
spaccia, talora persino sinceramente, per post-ideologica) emblemizzata
dal volto ‘umano’ di Matteo Renzi, nella quale convergono gli
interessi di quei due terzi di italiani – indifferentemente elettori di
centrodestra e di centrosinistra - che dalla crisi economica o hanno
tratto danni sopportabili o addirittura qualche vantaggio.
Chi
ritiene che la logica capitalistica, forse necessaria per superare la
fase dell’indigenza diffusa e della precarietà incombente - tipiche
delle economie agrarie – , sia oggi certamente letale per una
globalizzazione dei diritti e del benessere, che può fare?
Sul piano tattico
non ci si può concedere il lusso di lasciare nulla di intentato. Ogni
volta che, a livello nazionale o europeo, qualche lista prova a
rappresentare le ragioni dell’equità sociale, della tutela delle
minoranze, dell’accoglienza dei migranti, del disarmo progressivo, della
parità di opportunità per ogni genere … come rifiutare il proprio
sostegno (una firma, un contributo finanziario, un voto nel segreto
dell’urna)? Se, però, non si vuole andare incontro a delusioni
altamente probabili, occorre offrire tale sostegno senza la minima
illusione di successo. Per molti anni ancora le battaglie contro la
logica capitalistica - così diffusa in Italia, in Europa, nel mondo
Nord-occidentale – sono destinate alla sconfitta.
Ciò
non significa rinunziare a combattere la guerra: anzi, è un motivo in
più per impegnarvisi. Fuor di metafora, si tratta di giocare sul piano
tattico sapendo, però, che la partita si decide sul piano strategico.
Sui tempi lunghi e, soprattutto, nella struttura cerebrale e nervosa di
un organismo vivente di cui cogliamo soltanto i movimenti fenomenici,
epidermici. E’ dal 1968 che - borghese d’estrazione familiare – ho
guardato con sospetto ogni invito alla pazienza, ai progetti di
palingenesi radicale: non è che mi viene facile accogliere le
prospettive di lungo periodo - mi sono ripetuto innumerevoli volte -
perché intanto ho il necessario per vivere e per studiare e per pensare?
Non è che se fossi fra gli sfruttati della Terra mi verrebbe spontaneo
aderire a prospettive più immediatamente rivoluzionarie?
In
questo travaglio interiore qualche luce mi è arrivata da persone che -
a differenza di me – non hanno esitato sin da giovani ad abbracciare il
marxismo ideologicamente e a militare, almeno sino a un certo momento
della vita, nel Partito comunista. Infatti, anche persone non solo più
acute di me, ma anche più disposte a rompere gli indugi e a schierarsi
in organizzazioni politiche inequivoche, a un certo punto della loro
vicenda si sono accorte dei limiti dell’azione immediata. Dell’azione in quanto funzionale a risultati immediati, non in quanto ispirata dal marxismo-leninismo e condizionata dall’egemonia sovietica.
Dopo
l’invasione dell’Ungheria da parte delle Forze armate sovietiche, Italo
Calvino - insieme a molti altri dirigenti e attivisti del PCI -
decide di strappare la tessera: troppo cocente la delusione provocata
dal vertice del partito che, invece di condannare apertamente
l’invasione, fa le capriole per giustificarla. Calvino si sposta su
posizioni socialiste più democratiche, ma – qui mi interessa
sottolineare piuttosto quest’altro aspetto - dichiarerà più tardi:
“Quelle vicende mi hanno estraniato dalla politica, nel senso che la
politica ha occupato dentro di me uno spazio molto più piccolo di prima.
Non l’ho più ritenuta, da allora, un’attività totalizzante e ne ho
diffidato. Penso oggi che la politica registri con molto ritardo cose
che, per altri canali, la società manifesta, e penso che spesso la
politica compia operazioni abusive e mistificanti” (Quel giorno i carri armati uccisero le nostre speranze, “Repubblica”, 13.12.1980).
“Penso
oggi che la politica registri con molto ritardo cose che, per altri
canali, la società manifesta”: ecco il passaggio che vorrei evidenziare.
Perché c’è un modo qualunquista di subire le prepotenze del ceto
politico ed è gettare la spugna e ritirarsi nel privato; ma ce n’è uno
strategico che consiste nel bypassare la sfera della politica istituzionale per agire, con più incisività, nelle sue radici sociali.
Questo
impegno per mutare i paradigmi culturali della società, per scardinare
luoghi comuni e invertire gerarchie di valori ossificate, per fondare
micro-comunità profetiche dove si possano sperimentare modi altri
di vivere al mondo non è, necessariamente, alternativo alle manovre
elettorali e alle negoziazioni con i governi: scorre, infatti, su un
piano più basilare , ma parallelo. E’ il piano in cui le agenzie
educative (scuola e università, associazionismo, chiese e altre comunità
di impronta teologico-religiosa, sindacati, centri sociali, mezzi di
comunicazione sociale, uomini e donne dotate di creatività intellettuale
e artistica…) avrebbero da giocare il loro ruolo insostituibile. Una
delle speranze suscitate dal pontificato di papa Bergoglio consiste
proprio nello slittamento dell’azione pastorale dal piano delle tattiche
parlamentari al piano strategico della trasformazione mentale e
pratica di vescovi, clero e fedeli-laici.
Né
questa attenzione al pre-partitico, al pre-istituzionale, va inteso
necessariamente come opzione a favore del moderatismo: nel gesto
dell’artigiano che rilascia una ricevuta veritiera; o di un
professionista che non vende la coscienza per accelerare la carriera; o
di un amministratore che denunzia pubblicamente un’intimidazione
mafiosa…può celarsi una carica rivoluzionaria più dirompente di molti
comizi in piazza, di molte vetrine spaccate.
Forse,
anche nel 2014, si potrebbe ripetere un passo della risposta che
proprio quarant’anni fa Italo Calvino dette a un’inchiesta: “Credo
giusto avere una coscienza estremista della gravità della situazione, e
che proprio questa gravità richieda spirito analitico, senso della
realtà, responsabilità delle conseguenze di ogni azione parola pensiero,
doti insomma non estremiste per definizione” ( “Nuovi Argomenti” ,
numero 31, gennaio – febbraio 1974).
1 commento:
In piena sintonia con l’articolo consideravo, in prospettiva introspettiva, quanto il “lungo periodo” che separa dalla meta possa procurare insoddisfazione e angoscia personale. Utile per circoscriverla il “bypassare la sfera della politica istituzionale” nel suo imperversare massmediatico, dove l’ultima dichiarazione di un sottosegretario viene proposta, petulante e gonfiata, come cruciale per lo spettatore, quando invece vale, di fatto, lo 0,005 per cento e anche meno fino allo zero. Invertire gerarchie di valori è anche questo.
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