“Repubblica – Palermo”
1.3.2014
IL MEA CULPA INCOMPLETO DEI VESCOVI SICILIANI
In questi giorni la Conferenza episcopale siciliana (Cesi) ha reso
pubblico uno dei suoi periodici documenti di riflessione sulle condizioni
sociali dell’isola. Se si va oltre i titoli riassuntivi, non sempre imparziali,
della stampa, che cosa si può evincere da una lettura integrale del testo
originale?
Un elemento
senz’altro positivo, e relativamente innovativo, mi pare consista in un accenno
di autocritica. Dopo avere affermato che i disagi della crisi attuale vanno imputati primariamente alla
“classe dirigente, non solo di quella politica, che dovrebbe caratterizzarsi
sempre, e a maggior ragione in questa fase, con la cifra del rigore etico e
della competenza socio-politica”, i vescovi cattolici siciliani aggiungono: “In
verità si tratta di una esigenza che non riguarda solo i livelli istituzionali
e politici ma chiunque eserciti ruoli di responsabilità verso gli altri e che,
come cristiani, ci esorta a recitare il mea
culpa su noi stessi, prima che sugli altri, per le tante omissioni o
pavidità”. Questo accenno andrebbe però non solo completato, ma anche
accompagnato da seri ed espliciti propositi progettuali. Completato perché nel decennio anteriore alla discutibile – e,
anche in questo documento,
discussa – amministrazione Crocetta, la maggior parte dei cattolici
praticanti non sono stati solo
“omissivi” o “pavidi”, bensì complici (in quanto elettori pervicaci di liste di
centro-destra) di due presidenti
della Regione ritenuti filo-mafiosi sia dagli osservatori politici sia in sede
giudiziaria. Né i vescovi stessi, tra i quali pure non mancano persone attente
alle notizie di cronaca e culturalmente attrezzate per valutarle, hanno mai
invitato ufficialmente Cuffaro e Lombardo (soprattutto il primo) a non
sbandierare strumentalmente la propria appartenenza ecclesiale a scopi
elettoralistici (vedi consacrazione della Sicilia alla Madonna di Siracusa,
pellegrinaggio massmediatico a Santiago di Campostela, biglietti di auguri
istituzionali con icone sacre, affidamento a un prete della distribuzione delle
elemosine presidenziali direttamente da Palazzo di Orleans e così via).
Ciò che comunque, a
mio modesto parere, manca nel documento episcopale è la dichiarazione
programmatica di ciò che le comunità cattoliche, in quanto tali, possono e
intendono realizzare nel breve e medio periodo per contribuire ad uscire dal
pantano attuale. Se a un teologo, benché in odore di eresia, fosse lecito
avanzare qualche suggerimento, inizierei con il piano della legalità ordinaria.
Conventi, scuole private, case di accoglienza, ospedali, collegi femminili e
maschili sono tuttora datori di lavoro di migliaia di cittadini: si potrebbe
decidere di regolarizzare la condizione giuridico-economica di tutti costoro,
azzerando i casi di lavoro in nero e di altre anomalie amministrative e
fiscali? Lo Ior avrebbe qualche conto corrente bancario meno pingue, ma in
tante famiglie siciliane arriverebbero boccate di ossigeno.
Un passo oltre la
legalità ordinaria potrebbe essere la generosità profetica. Un paragrafo del
documento è dedicato alla “accoglienza dei migranti” e all’esempio luminoso dei
“cari abitanti di Lampedusa, che hanno offerto al mondo la testimonianza
credibile di un’accoglienza praticata come autentica carità evangelica”. Bene.
Ma perché non una sola sillaba sull’invito di papa Francesco ad aprire le porte
dei conventi ormai deserti? Quanti ex-monasteri, adibiti oggi ad alberghi,
hanno accolto famiglie di disperati in cerca di casa e di lavoro? So bene
quanta fatica comporti il passaggio dai propositi di massima all’attuazione
effettiva, concreta: ma si tratta di mediazioni inaggirabili se si vuole
parlare con credibilità.
Almeno un terzo livello di impegno potrebbe essere assunto e
perseguito dalle chiese cattoliche siciliane: la formazione civica dei fedeli.
Alcuni miei amici preti lo fanno da sempre, ma restano eccezioni: nelle omelie,
nei corsi di preparazione alla prima comunione, alla cresima, al matrimonio,
inseriscono nella catechesi elementi di dottrina sociale. Qualcuno regala ai
giovani, insieme al Vangelo, la Costituzione italiana. Qualche altro insiste
nella incompatibilità di fede in Cristo e vicinanza ad ambienti mafiosi. La stagione delle scuole di formazione
politica - organizzate, più o meno bene, da diocesi e ordini religiosi - sembra
tramontata. Invece proprio in fasi come quella attuale le agenzie formative
(come le scuole, l’associazionismo, le reti parrocchiali) dovrebbero
moltiplicare le iniziative che partiti politici e sindacati hanno rinunziato da
tempo ad attivare: corsi di alfabetizzazione civica che diano, a chi ne abbia
desiderio, gli elementi per partecipare alla vita politica da cittadini e non
da sudditi. Solo cittadini adulti, preparati, critici, pro-attivi potrebbero
anche osare di esplicitare la propria appartenenza ecclesiale, coinvolgendo
l’attendibilità della testimonianza evangelica.
Augusto Cavadi
2 commenti:
Caro Augusto,
grazie del bell'articolo sul mea culpa; ma anche sul nostra culpa! Ci sentiamo impari all'incalzare dei problemi e delle situazioni sempre più grandi.
Un abbraccio
Cosimo
Riflessioni schiette, pacate e necessarie. Grazie.
Maria D'Asaro
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