il mio fraterno amico Andrea Cozzo - su mia sollecitazione - ha messo per iscritto due episodi di malasanità che ha vissuto sulla propria pelle e sulla pelle della madre. In entrambi i casi non si tratta di piccoli fastidi: a rischio sono state due vite umane.
Ho pensato a varie ipotesi per far conoscere questi fatti, ma sinora non ho trovato il 'taglio' adatto.
Preferisco socializzare i due racconti con voi, amici del blog. Forse un giorno uno di noi troverà il registro migliore per elevare la denunzia.
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Ospedali 1. Può capitare a Palermo?
Può
capitare.
Che la
vostra anziana madre (tumore al seno e metastasi ossee con conseguente notevole
riduzione dei globuli bianchi) abbia contratto una polmonite e, in stato di
grave insufficienza respiratoria sia portata d’urgenza, in ambulanza, al Pronto
Soccorso di un ospedale palermitano, le sia assegnato il codice rosso, e poi,
fattale indossare la mascherina e l’ossigeno, venga abbandonata per nove (sì,
nove) ore con altri due pazienti, un uomo e un’altra donna, tutti in attesa di
ricovero in una stanzetta di meno di nove metri quadri.
E
che, avendo lei necessità di andare a un certo punto al bagno, debba arrivarvi
con le sue forze e con quelle vostre e voi dobbiate esser contenta che almeno la
mamma abbia mascherina e ossigeno e non possa quindi, appena avete aperto la
porta, sentire il puzzo vomitevole che esala dal cesso e dal pavimento tutto
allagato di urina, nella quale sono inzuppati fogli di carta igienica, e che vi
investe fino quasi a farvi svenire – sì, perché parlo di quell’orrendo puzzo
che si poteva trovare una volta solo nei peggiori bagni pubblici sotterranei.
E
che alla paziente venga finalmente assegnato un letto ...con lenzuola di carta
e un cuscino senza federa, sicché vi dobbiate fare portare da casa lenzuola,
federe e coperta (sostituendole, sempre con altre vostre, fino all’ultimo
giorno di degenza).
E
che il letto si trovi in una stanza che ha il bagno fuori, a circa sei metri,
poco meno maleodorante di quello del Pronto Soccorso ma sicuramente altrettanto
schifoso.
E
che una giovane infermiera giunga premurosa, attacchi il nuovo tubo
dell’ossigeno e se ne vada immediatamente senza avere spiccicato una parola con
la paziente o con voi. Per fortuna voi siete rimasti e la mamma può farvi capire
che l’ossigeno non le arriva.
E
che voi premiate il campanello per chiamare l’infermiera, ma esso non funzioni.
E
che allora andiate direttamente in cerca della donna, le spieghiate, e lei,
tranquilla, risponda: “Funziona tutto, perché
ha funzionato fino al momento in cui è stata dimessa la paziente precedente”.
Non rispondete, ma pensate: “Una logica davvero stringente! Tutte le cose
funzionano ...fino ad un minuto prima di smettere di funzionare”.
E
che la giovane, che tuttavia è stata così gentile da volere venire a
controllare di persona, appena entrata nella stanza dei pazienti, confermi:
“Vedo già da qui che funziona tutto benissimo, perché l’acqua del contenitore
appeso alla parete fa le bollicine”. E voi, con gentilezza: “Mia madre però
dice che l’ossigeno non le arriva”. L’infermiera si avvicina al letto, stacca
il tubo dalla cannuccia del contenitore, mette la mano davanti ad esso e dice:
“Visto che l’ossigeno esce? Che le avevo detto?”. A questo punto mantenere la
calma è più difficile, anche se ce la mettete tutta: “Nessuno dice che
l’ossigeno non esce; il problema è che, anche se esce, non arriva. Non le pare che sarebbe meglio controllare a valle
anziché a monte?”. Lei fa una smorfia di disappunto, ma finalmente verifica l’uscita
dell’ossigeno dalla parte della mascherina e ... effettivamente non arriva
nulla. “Adesso la cambio”. Era ora!
E
che torni con la nuova maschera, la faccia indossare alla paziente e se ne vada.
Di nuovo senza verificare o chiedere niente. La mamma vi fa cenno che
l’ossigeno continua a non arrivare. Voi correte di nuovo in infermeria, trovate
la ragazza di prima che si lamenta con una collega perché lei lì a quell’ora
non ci dovrebbe stare e invece... Non potete non farvi avanti: “Mi scusi, ma
l’ossigeno continua a non arrivare!” La donna, come se l’aveste insultata,
sbotta: “Mi chiama di nuovo? Ma non è che siamo suoi schiavi!”. Voi siete un
po’ spiazzati, non capite bene: prima l’avete chiamata a ragione, e ora cosa
potete aver fatto di male nel chiedere aiuto perché l’ossigeno di cui vostra
madre ha bisogno non arriva? Siete sicuri di non aver alzato la voce, di non
aver intimato proprio nulla. Probabilmente la donna ha in testa il problema che
stava raccontando alla collega, ma non è il caso di farglielo notare. Rispondete,
però, con fermezza e decisione, anche perché c’è urgenza: “Lei non è schiava di
nessuno, ma è al servizio dei pazienti, e mia madre non riesce a respirare
quindi la soccorra immediatamente”. Lei grida che ci sono modi e modi di
rivolgersi alle persone, ma si avvia. Anche se siete sicuri che è stata proprio
lei ad adoperare modi (oltre che atti) non consoni, lasciate perdere:
l’importante, per ora, è che risolva il problema ossigeno. Va, e questa volta
lo risolve davvero. La cosa, con l’infermiera, finisce là e voi evitate di
riprendere l’argomento per non aver l’aria di quello insistente. Vi limitate a
ringraziare, ma non ottenete risposta.
E
che la incontriate di nuovo dopo due giorni, mentre smonta, e la salutiate come
si fa da persone educate, ma di nuovo non abbiate risposta.
E
che il campanello del letto del paziente continui a non funzionare.
E
che un giorno la dottoressa (sì, la dottoressa del reparto e non più l’infermiera),
quando, dopo una radiografia al torace della mamma, le chiedete se la polmonite
della persona che vi sta tanto a cuore sia in regressione, risponda
testualmente: “Lei si preoccupa della polmonite, ma dalla radiografia si vede
che la signora ha metastasi diffuse in entrambi i polmoni!”. Ci restate di
ghiaccio, non sapete cosa dire e ve ne andate mogi mogi.
E
che l’indomani prendiate il coraggio a quattro mani e torniate a chiedere per
capire meglio, per sapere cosa fare. La dottoressa allora chiarisce:
“Probabilmente non mi sono spiegata bene. Non c’è motivo di credere che la
signora abbia metastasi ai polmoni, la radiografia mostra che ci sono degli addensamenti,
ma in regressione”. Non avete parole, ma molti pensieri: 1) il giorno prima si
era sbagliata e adesso, anziché ammettere l’errore, preferisce metterla sul
“non mi sono spiegata bene” (e già il fatto che non abbia detto “ieri avete
capito male” è indicativo non di buona educazione bensì di “carbone bagnato”,
ma, poiché poteva anche adoperare la prima formula, probabilmente finisce che
le dovete pure essere grati!); 2) la cosa le è sembrata di così poca importanza
da non ritenere che, appena resasi conto dell’abbaglio, doveste essere
avvertiti immediatamente ma ha tranquillamente aspettato che andaste a trovarla
per ammannirvi la storiella dell’equivoco. Inutile insistere per chiarire che
sarebbe stato difficile, tanto difficile da giungere all’impossibile,
equivocare le sue parole del giorno prima (riportate testualmente); 3) non siete
qui per litigare, e se non c’è un buon motivo pragmatico per confliggere è
meglio fare buon viso a cattivo gioco perché vostra madre possa tornare a casa
al più presto – possibilmente viva. Anche se, è chiaro, qui, sicuramente in
mezzo a infermieri e medici bravi, ce ne sono anche di quelli di non ci si può
fidare troppo (anzi, niente): potete solo sperare che delle due versioni date
dalla dottoressa, quella giusta sia la seconda. Per il resto, non potete far
altro. Appena capito in che posto vi trovavate, avevate provato a chiedere
ricovero per vostra madre in altre strutture ospedaliere (private) ma vi
avevano detto che non c’era posto e bisognava mettersi a turno. Siete nelle
mani di Dio.
E che Dio questa volta abbia guardato da questa parte. Al
di là di ogni speranza (data la competenza e l’umanità di alcuni di quelli che
l’avevano in cura; dato il funzionamento generale dell’ospedale; data l’igiene
sovranamente regnante), vostra madre è tornata a casa –viva.
Ospedali 2. Può capitare a Palermo, a Milano e a Gallarate?
Può
capitare anche che siate intollerante al glutine, cioè celiaco, e vegetariano
da undici anni.
E
che a un certo punto cominciate ad avere strane sensazioni fisiche, come
tremori interni al corpo, vibrazioni muscolari o qualcosa del genere, dapprima
agli arti superiori, poi a quelli inferiori e infine (il tutto in una quindicina
di giorni) in tutto il corpo, capo compreso (si chiamano parestesie, come avete
scoperto dopo). Voi correte al reparto di Neurologia di un ospedale
palermitano.
E
che lì vi ricoverino d’urgenza e in poco meno di una settimana vi facciano
tutti gli accertamenti necessari. E poi dicono che a Palermo la sanità pubblica
non funziona!
E
che infine, di mercoledì, vi diano il responso: “Sclerosi multipla. Se Lei è
d’accordo, venerdì si incominci la terapia”. Ci pensate un po’. Questa volta la
macchina sanitaria non è stata lenta, anzi è stata molto rapida; e con
altrettanta rapidità vuole aiutarvi a non peggiorare la vostra situazione già
gravissima. Ma la sua rapidità nel volere intervenire nquesta volta è troppa
per il vostro bisogno di riflettere almeno qualche minuto. Per voi è
traumatico. “Senza offesa: vorrei consultare anche un altro medico”. Risposta:
“Altro medico o non altro medico, è sclerosi multipla e si deve agire
immediatamente”. Non siete riconoscenti: “Non dubito di voi, ma, sapete com’è,
quattro occhi possono vedere meglio di due”. “Faccia ciò che vuole”.
E
che chiamiate il vostro più caro amico, insieme al quale al ginnasio e al liceo
studiavate e giocavate a ping pong, e che oggi è medico - anche se si occupa di aids nei
bambini. Lui vi è vicino e vi fa coraggio, e vi suggerisce un notissimo
ospedale di Milano. Voi fate il biglietto aereo. Il vostro amico vi richiama al
telefono dopo un po’: “Tu sei celiaco, no?! Mi sono ricordato di aver letto
diversi anni addietro su una rivista medica che ci sono sintomi – credo proprio
quelli che hai tu – che sembrano quelli della sclerosi multipla, ma non hanno a
che fare con questa, ma con carenza di vitamina B 12. Fatti fare l’esame della
B12, prima di partire: potresti esserne in deficit. Io ti stampo le pagine
dell’articolo di questa rivista medica americana che ne parlava e te le porto”.
Faccio il prelievo per la B12, ricevo l’articolo, torno a Neurologia per fare
un ultimo tentativo con l’articolo in mano e ricordare al medico che mi ha
diagnosticato la sclerosi multipla che sono celiaco. Ma lui: “La celiachia è
una cosa che ha a che fare con lo stomaco, non c’entra nulla. E l’articolo dirà
sciocchezze”. Evviva non dico il
rapporto medico-paziente, ma almeno la curiosità scientifica, il dubbio su ciò
che si sa...
E
che prendiate l’aereo per Milano. Al famosissimo ospedale, la dottoressa vi
visita, guarda le radiografie e tutta la documentazione che vi portate da
Palermo: “Ah, è il dottor XY che l’ha vista a Palermo? È un collega
bravissimo”. “Sì, lo so, ma siccome un mio amico, medico, che mi ha dato queste
pagine – eccole qui, dia un’occhiata - tratte dalla rivista Medical...”. Vi interrompe: “Non ho
niente da guardare. Ho già guardato le lastre e il resto degli esami. Sì, è
sclerosi multipla”. Fine del ‘dialogo’.
E
che poi al telefono il vostro amico vi dica di non scoraggiarvi e di informarvi
se a Palermo hanno già i risultati della B12 che, avete fatto presente, erano
urgenti. Chiamate: “Li avremo dopodomani”. “Intanto, vi suggerisce il vostro
amico, a che ci sei vai a Gallarate, che è a mezz’ora di treno da Milano. Ho
trovato via internet che c’è un centro di sclerosi multipla dove studiano
proprio le ‘interferenze’ tra sintomi della sclerosi multipla e di una patologia
che invece si cura con semplici fiale di B12”.
E
che dopo due giorni alle 11.00, da Palermo vi dicano che la vostra B12 è di 50
pg/ml, laddove il minimo non dovrebbe mai essere al di sotto di 200 pg/ml, e voi chiamiate il
vostro amico medico esultati e non sappiate come ringraziarlo. A Gallarate vi
hanno dato appuntamento proprio per quel giorno. Voi raccontate tutta la vostra
storia e sfoderate il vostro articolo scientifico in inglese, e il medico (che
l’articolo non lo tocca affatto ma ascolta voi con attenzione), a un certo
punto, vi interrompe e ironizza: “Ah, lei è stato diagnosticato a Palermo
dall’illustre dottor XY e poi a Milano dall’esimia dottoressa WZ, e poi viene
qui... Sta facendo il tour?” Voi
chiedete: “Il tour? Ma non mi hanno mica diagnosticato un raffreddore! E poi un
mio amico – medico (precisate sempre, per timore, che se ne freghino del parere
del vostro amico) mi ha detto che ... e mi ha dato questo articolo etc.”. Lui:
“Perché non si vuole rassegnare? Non è che girando per tutta Italia...”.
Intanto ha preso in mano la radiografia e la guarda. Subito cambia tono e
parole: “Non è sclerosi multipla. È sclerosi funicolare. Stessi sintomi, ma
niente di preoccupante se si porta subito al giusto livello la B 12”. Vi
iniettate un bel po’ di B12 per diversi mesi, e poi solo una ogni sei mesi,
e oggi potete raccontare tutta la storia.
Vivano sempre i medici
–soprattutto vivano gli amici medici,
che, poiché vi vogliono bene e non si trincerano dietro quel che sanno o
credono di sapere una volta per tutte, sono quelli che vi salvano la vita.
2 commenti:
Cari Andrea e Augusto, il secondo episodio - grazie al Cielo, anzi grazie soprattutto al medico amico, a lieto fine - mi era noto. Il primo, assai triste e deprimente, no. No comment. Un forte abbraccio.
Maria
senza parole. Bisogna solo sperare di non stare male.
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