“Palermo – Repubblica”
30.1.204
LE RESPONSABILITA’ DELLA SCUOLA
NELLA PERDITA DEI POSTI DI LAVORO
Le cronache di questi giorni ci informano di due dati che, senza
eccessivi sforzi di fantasia, si rivelano connessi. Il primo è stato reso noto
da Antonio Rallo, presidente regionale di Assovini: molte aziende siciliane,
quando attivano relazioni commerciali con Paesi esteri, sono costretti ad
assumere personale straniero perché dalle nostre parti i giovani conoscono
poche lingue e, per giunta, poco bene. Responsabilità del sistema scolastico
italiano? Non esclusivamente (molti giovani, infatti, appena hanno la
possibilità di viaggiare si fiondano nei villaggi turistici ed evitano ciò che
i loro colleghi stranieri prediligono: andare a lavorare per brevi periodi,
facendo full immersion, nei Paesi di
cui vogliono imparare davvero la lingua), ma in buona misura sì. Alle scuole
elementari tutti gli insegnanti sono obbligati, in questi ultimi anni, a
seguire un corso di inglese per insegnarlo (anche se non lo hanno mai studiato
in vita loro e non hanno nessuna propensione a farlo); così, mentre migliaia di
laureati restano a passeggio, i pargoli ricevono un pessimo imprinting linguistico.
La
situazione non migliora nelle scuole superiori. Si sprecano soldi, privati e
degli istituti, per viaggi d’istruzione che, nell’ottanta per cento dei casi,
non istruiscono per niente; molto meno si investe in gemellaggi e stage che, invece, supportano davvero
l’apprendimento della seconda lingua. Per giunta, gemellaggi e stage prevedono un contributo
finanziario più consistente da parte delle famiglie, col risultato sconfortante
che chi ha più opportunità di imparare le lingue ne ha altre, chi ne ha di meno
resta con le poche che ha.
La situazione cambierebbe se si abbassasse l’età media degli insegnanti?
E siamo alla seconda notizia di cronaca: molti docenti sessantenni chiedono di
poter andare in quiescenza per lasciare spazio a colleghi più giovani o precari
o addirittura in cerca di prima occupazione, nella convinzione che una minore
distanza anagrafica fra professori e alunni andrebbe certamente a vantaggio
della preparazione di questi ultimi. Mettendo fra parentesi i singoli casi, e
parlando in linea generale, questa tesi è falsa. Non perché sia vera l’antitesi
(quasi che i professori, come le galline, invecchiando facciano brodo
migliore), ma perché l’età è ininfluente sulle prestazioni di un insegnante. Ci
sono insegnanti che peggiorano con l’età, altri che migliorano; altri ancora
che bravi sono e bravi restano nel corso del servizio; e altri, infine, che
inadatti erano all’inizio e inadatti restano sino alla fine. E’ vero: abbiamo avuto tutti
l’esperienza del professore anziano che entra in aula sbadigliando e
chiacchiera del più e del meno per far scorrere l’ora. Ma anche l’esperienza
del professore anziano che entra in aula puntuale, rilassato e in grado di
rasserenare col suo solo sorriso gli animi degli alunni esacerbati dalla
docente giovane e isterica che se ne è appena uscita due minuti prima. Il nodo
è stato ed è un altro: il patto perverso per cui lo Stato non seleziona con
cura i suoi docenti (appoggiato all’unanimità dai sindacati di categoria
preoccupati della disoccupazione giovanile) né li sottopone ad alcuna seria
valutazione in itinere, ma in cambio li paga poco e gli nega
una vera carriera (a meno che non abbandonino la funzione docente per
abbracciare quella, totalmente diversa e non sempre più nobile, di dirigente
scolastico).
Allora ci si preoccupi, come è giusto,
dell’inserimento in ruolo dei docenti precari: ma non a qualsiasi costo. La
scuola non può continuare a funzionare da ammortizzatore sociale per lenire la
disoccupazione intellettuale. Se vogliono dare una mano, gli insegnanti agli
sgoccioli degli anni di servizio possono chiedere una riduzione delle ore di
insegnamento (ovviamente rinunziando, se se lo possono pernettere, a una
proporzionale percentuale dello stipendio) e cominciare a fare spazio ai più
giovani. Purché i viticultori siciliani non debbano continuare a ricorrere a
personale straniero per poter vendere i nostri prodotti all’estero.
Augusto Cavadi
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