Danilo Cambiaghi
Report della
conversazione di Augusto Cavadi
“La filosofia: una
disciplina che serve a molto solo se non è serva di nessuno”
Associazione
“Noesis”
Bergamo
17 dicembre 2013
LA RELAZIONE
Aristotele fondava
l’origine della filosofia sullo stupore. Il relatore esordisce dichiarandosi
stupito dalla numerosità e dal calore del pubblico di “Noesis”. La filosofia è
amore, è l’unica disciplina che porta un sentimento nel nome (Pino Ferraro).
Amore per la saggezza, ma anche amore tra di noi che tale saggezza perseguiamo.
Il discorso filosofico tra estranei è difficile, bisogna parlare guardandosi
negli occhi. Si dovrebbe passare dalla forma monologica alla forma dialogica,
discorrere non sulla filosofia ma
con filosofia. Nessuno
è troppo anziano né troppo giovane per accostarsi alla filosofia e per
coltivarla, diceva Epicuro. La serata avrebbe un decorso ideale se, dopo una
breve introduzione monologica, si instaurasse un dibattito, una interazione tra
relatore e pubblico, unica via per sperimentare la filosofia.
Il sociologo
triestino Danilo Dolci criticava la definizione “mezzi di comunicazione di
massa”, in quanto la comunicazione si ha solo tra un io ed un tu. Quella
demandata a radio, televisioni e giornali non è comunicazione, è “trasmissione”
unilaterale.
Il discorso della
serata comincia rifacendosi al mito della Medusa, che non a caso era
antagonista di Atena (la saggezza, la filosofia). La Gorgone con lo sguardo
pietrificava laddove la filosofia sollecita a risposta. La filosofia non ama la
complificazione: chi ha da dire, sa dire con chiarezza e semplicità. La Medusa
oggi non pietrifica chi incontra, ma lo trasforma in mezzo, strumento. Questo è
l’esatto contrario dello sguardo filosofico che lascia essere l’altro,
non pretende di trasformarlo in oggetto di utilità.
La “funzionalità
a” nasce con Cartesio, diventa tema centrale in Heidegger. Il concetto di res
estensa ha ridotto l’universo a massa di materia inerte da plasmare. Thomas
Merton lamentava che non siamo più capaci
di guardare alle cose disinteressatamente. Quello che non ha utilità non lo
vediamo neppure. Vediamo l’albero quando ci serve la legna. Cavadi dichiara di
sentirsi condizionato da questa mentalità, dallo sguardo che strumentalizza.
Fare filosofia significa mettere in crisi questa visione.
I giovani che si accostano allo
studio della filosofia normalmente chiedono al docente quale ne sia l’utilità. Cavadi,
docente di filosofia al liceo, nei suoi primi anni di insegnamento usualmente abboccava
alla domanda e cercava di dare agli studenti le solite risposte: la filosofia vista come mezzo per
approfondire le capacità logiche, migliorare le capacità comunicative, dare
strumenti per capire meglio la storia ecc. Ma le spiegazioni utilitaristiche
tradiscono la filosofia, che non è un “mezzo per …”. Ci sono ovviamente cose
per cui lo studio della filosofia è utile, ma non è qui la sua ragione
profonda.
La vera risposta
è un’altra che si trova già in Aristotele: la filosofia non ha utilità pratica,
tutte le altre scienze sono più utili. Non è una svista dello Stagirita: le
cose più belle sono gratuite ed inutili (si pensi ad un bel tramonto).
Se vado a vedere un film o una mostra d’arte ci vado per fare un’esperienza
estetica, qualsiasi altra motivazione non può che sminuirmene il piacere. A
cosa serve scrivere poesie, tenere un diario dei propri sentimenti? A che serve
lo studio del Greco e del Latino? Il germe dell’utilità a tutti i costi si è
insinuato anche nel mondo della filosofia: si tende a vederla utile come farmaco contro i mali esistenziali.
Così il filosofo, invece di aiutarci ad uscire dal circuito utilitaristico,
contribuisce alla resa generale all’utilità.
La
vita contemporanea, secondo l’osservazione acuta di Davide Miccione, ci ha
strappato il mondo della quotidianità e ce lo vuole restituire come terapia.
Non si va più a ballare, si fa danzaterapia (a pagamento). Sugli scaffali di qualsiasi
libreria religiosa si trovano libri di cristoterapia (sottinteso: se il Cristo
non è terapeutico a cosa ci serve?).
Cita da Neri
Pollastri: siamo in una società che medicalizza tutto, che propone pillole
contro l’irrequietezza a bambini di tre anni. Andiamo dallo psicoterapeuta
per evitare l’esperienza del dolore a fronte della morte di nostro padre. Non
ha senso medicalizzare i disagi inevitabili della nostra esistenza. La
filosofia non deve terapeutizzare, deve aiutarci a capire e ad affrontare con
maturità le difficoltà della vita.
Tra parentesi: sia chiaro che questa critica non si estende al concetto
epicureo di tetraterapeuticità della
filosofia, che viceversa è discorso filosofico e non medicalizzante. Di fronte
al dolore non dobbiamo anestetizzarlo, ma crescere in forza interiore e
consapevolezza per fronteggiarlo.
Aristotele
definisce in-utile la filosofia: un inutile necessario. Cavadi stesso si
dichiara non idealista, ed ammette di dare importanza al denaro, alla moglie,
agli amici ed alla casa. Non disprezza l’utilità. Ma la filosofia, come tutto
ciò che è necessario, è in-utile nel senso di non strumentalizzabile
a qualcosa d’altro. Aristotele in effetti nel suo lodare l’inutilità era
forse un po’ troppo aristocratico, ma è fondamentale che la passeggiata sia
fatta per essere goduta in sé stessa, e non per dimagrire, altrimenti il
piacere della passeggiata è rovinato. Gli effetti collaterali, anche
desiderabili, non devono diventare scopo. La filosofia fa bene se non si
propone di far bene.
Chiedere ad
un bambino perché gioca non ha senso, è solo un gioco mentale per pedagogisti.
Bisogna cercare di riscoprire e valorizzare l’inutile necessario.
Epicuro notava che il superfluo è caro, il necessario economico. Le cose
veramente necessarie sono accessibili a chiunque, vi è gratuità nell’essenziale.
L’essenziale è spesso invisibile agli uomini, non attingibile dalle categorie
economiche. Cavadi cita come geniale la nota pubblicità di Mastercard: “ ….
non ha prezzo, per il resto c’è Master Card”, che gioca sulla
contrapposizione tra ciò che è veramente importante e ciò che ha un prezzo.
Ciascuno di noi può dare una propria risposta alla domanda:
“cosa mi ha dato la filosofia?”.
Per quanto lo
riguarda, Cavadi cita cinque
regali che ritiene la filosofia gli abbia fatto:
*) Lo stimolo a perseguire il senso del
cosmo, la non rinunziare alle domande da dove veniamo?, dove andiamo?, cosa
facciamo? – domande non utili, ma tese a ciò a cui la filosofia ci
incuriosisce. In un testo Cicerone riporta che Pitagora dicesse che alle
Olimpiadi alcuni vanno per competere, altri per guadagnare o per godere lo
spettacolo. Altri ancora ci vanno per guardare, vedere, capire: questi
sono i filosofi.
*) Il senso
dell’esistenza personale: dopo il problema cosmologico ecco il problema
antropologico. Durante il nazismo Victor Frankl, uno psicoterapeuta
incarcerato, cercava di aiutare gli altri con la psicoanalisi, ma si accorse
che nel lager le teorie di Freud non funzionavano, essendo troppo represse e
lontane libido e sessualità. Però osservando i suoi compagni di prigionia si
accorse che alcuni avevano più risorse per resistere di altri. Coloro che
avevano un sogno, per quanto labile (la patria finale, Cristo, Marx…), qualcosa
che desse un barlume di senso alla loro esistenza, resisteva di più. Chi non
aveva di queste ancore ideali deperiva prima, o si suicidava. Frankl, dopo
l’esperienza concentrazionaria, ne ha scritto sostenendo che l’uomo ha sì
bisogno di sesso, successo ecc., ma ha soprattutto bisogno di senso. Già
medico, ha studiato anche filosofia, ma lo teneva nascosto perché la sua
immagine professionale non avesse a soffrirne (cosa serve che un medico si
interessi di filosofia? Non ne verrà distratto? Non sarebbe meglio che
studiasse più medicina?). La scoperta della fame di logos nell’atroce
ambiente del lager è bella. Il filosofo cerca, le risposte che si dà sono
dubbie e transeunti, ma un po’ di risposta, seppur non definitiva, c’è.
*) Il senso
della propria professione. Cavadi
dichiara di amare la compagnia di professionisti che, a quaranta-cinquant’anni,
risolti i principali problemi di affermazione, perduta la tensione per la
carriera, cominciano a porsi domande di senso. Socrate fu condannato con accuse
pretestuose, la vera ragione è che andava a porre domande di senso a
magistrati, artisti e sacerdoti. E’ dubbio che si possa vivere una vita senza
cogliere il senso profondo della propria esistenza. Il Cavadi ama fare il
Socrate in gruppi di medici, avvocati, …
*) La filosofia
ci aiuta a capire il senso della vita spirituale, che non è necessariamente
fede confessionale. La fede confessionale presupporrebbe di suo, necessariamente, una profonda e semplice
religiosità. Prima di essere Ebrei o Cristiani dovremmo essere uomini , chiusi
al dogmatismo, aperti allo stupore. Se voglio una scorciatoia per il divino
prendo in giro me stesso, ne esce il religioso con meno sensibilità etica
dell’ateo.
*) Cogliere il
senso della politica. Da Socrate in poi molti hanno sacrificato la vita
all’interesse per la polis. Cavadi diffida del filosofo topo di biblioteca. Fuori
dalla polis, diceva Aristotele, possono vivere soltanto le bestie o gli
dei, e noi non siamo dei. Hanna Arendt notava che, per quanto la società
esalti il privato, il privato è privazione della dimensione
costitutiva dell’agire politico. La sfera del privato può essere vista come
sfera di privazione. Don Milani diceva che tutti abbiamo problemi nella vita:
tentare di uscirne da soli è egoismo, tentare di uscirne insieme è politica.
Oggi l’essenza della politica è capire che dobbiamo uscirne insieme,
integrandoci reciprocamente. Cita un libro su La Rosa Bianca, gruppo di
reazione ad Hitler i cui membri furono scoperti ed uccisi.
All’unica ragazza del gruppo sono attribuite queste parole:
“Se la politica andasse bene potrei fare a meno di occuparmene, Devo
impegnarmici perché è confusa e malvagia.”
DIBATTITO
Premessa: alla
serata era presente un numero insolitamente elevato di studenti liceali.
Intervento 1 –
L’intervenuto, augurandosi numerosi interventi da parte dei giovani, ed un po’
per dare loro il tempo di chiarirsi le idee per porre domande, propone un
intervento interlocutorio, più testimonianza che domanda. Ricorda che in
filosofia c’è una continua rivisitazione dei problemi fondamentali, spesso già
inquadrati ai tempi di Platone ed Aristotele, mai risolti né probabilmente
risolvibili, ma continuamente riproposti da nuove angolazioni ed alla luce di
più approfondite maturazioni, ed ogni volta coinvolgenti cerchie più vaste di
cultori e studiosi. Ecco, un dono ricevuto dalla filosofia è la sensazione di
non solitudine, di essere in vasta compagnia nel momento in cui ci si pongono
le irrisolvibili domande fondamentali, quando si tenta di costruire una maggiore
consapevolezza esistenziale.
Intervento 2 – Il relatore
ha dichiarato l’inutilità della filosofia. Ma non è utile perseguire il sapere?
Commento di Cavadi – La questione
è terminologica, convenzionale. Distinguiamo l’utilità economica immediata da
una utilità intesa in senso più vasto. In latino si distingue tra uti (far
uso, appropriato per gli utensili) e frui (fruire di,
verbo adatto ai rapporti interpersonali). Perdendo le sfumature linguistiche si
perde una possibilità di senso. La moglie non mi è utile come può essermi utile
un martello, mi è utile nel senso che ne fruisco la compagnia, cioè nella
persona non vedo solo un mezzo ma anche un fine. Cavadi ricorda di avere in
gioventù rinviato le ipotesi di matrimonio perché disgustato dal fatto che i
parenti gliene prospettavano l’opportunità in termini di utilità.
Intervento 3 –
L’intervenuto ritiene che vi sia una qualche correlazione tra i mezzi di
comunicazione di massa ed il rischio di dittatura. Non perché vi veda
necessariamente dei mezzi di propaganda, ma constata che le democrazie crollano
anche perché sono ambigue nella definizione dei concetti.
Commento – Cavadi dichiara di non
condividere tale critica perché la consuetudine con la filosofia gli consente
di chiamare le cose col proprio nome. Certo che se scambio un talk show per
comunicazione politica sono fuori strada: non c’è stata comunicazione, ho
subito una trasmissione unilaterale a cui non ho partecipato. Non c’è niente di
male se, per essere informato, seguo un talk show, a patto che mi sia
ben chiaro che tale ascolto non ha nulla a che vedere col fare politica.
Cavadi accetta sempre volentieri inviti del tipo di questo di “Noesis” perché
in questi incontri c’è comunicazione, c’è scambio di pensiero che è cosa
diversa dalla trasmissione di pensiero. Chi confonde “trasmettere” e “comunicare”
è predisposto a subire la dittatura, tanto più subdola quanto meno
percettibile, e quindi non suscettibile di generare ribellione. Il ragazzo che
vuole i jeans già tagliuzzati ed
invecchiati dalla casa produttrice non è più libero, ma non se ne rende conto.
Intervento 4 – L’intervenuto
(settantaduenne, pensionato senza problemi economici) si dichiara in età di
bilanci. Le domande che si pone ora non sono diverse da quelle che si poneva prima,
ma ora hanno sapore diverso. Lui è arrivato a dirsi che la vita non deve essere
vissuta per qualche particolare scopo, ma deve essere semplicemente vissuta. Si
alza al mattino per alzarsi, frequenta “Noesis” o fa volontariato perché è
bello farlo, vive perché la vita va vissuta.
Commento – Condivisione di fondo, a patto
che le attività prescelte, come appunto “Noesis” o il volontariato, siano di
quelle che ci arricchiscono. Dichiara di non capire coloro che consumano le
giornate giocando a burraco.
Intervento 5 –
L’intervenuto chiede a Cavadi se egli abbia mai trovato un senso profondo, e,
se sì, attraverso quali canali lo abbia trovato e per quali tracce lo abbia
riconosciuto.
Commento – Il relatore dichiara di avere
trovato senso quando ha incontrato valori, specie se incarnati in persone (la
sua stessa moglie, Falcone, Borsellino, Don Puglisi…)Ogni volta che tale
incontro si è realizzato ne ha ricavato un senso di pienezza che gli avrebbe
consentito di morire contento. Qualcosa che vale in sé, che vale
indipendentemente dal fatto che possa servire, procura un senso di felicità che
è strettamente apparentato alla filosofia. La si prova in determinate
esperienze estetiche o mistiche.
In genere, nei momenti in cui si vive l’eros, la filia, l’agapè,
si sperimenta che la vita ha un senso.
Intervento 6 – La Gorgone
moderna che guarda tutto attraverso il filtro dell’utilità uccide la curiosità,
il gusto per la ricerca, che sono essenzialmente gratuiti. La politica attuale
è brutta perché è adagiata sul noto.
Intervento 7 – (L’intervenuta è una studentessa). Vero che c’è questa Gorgone che imbruttisce ed una
televisione che ci trasmette valori fasulli. Ma dove possiamo rivolgerci? Sono
gli adulti che dovrebbero proporci delle alternative.
Commento – Vero, ma prima ci vorrebbe la
bacchetta magica per cambiare gli adulti. Cavadi ricorda che neanche gli
attuali anziani, da giovani, avevano avuto dei grandi modelli. Il suo stesso
padre aveva tentato di dissuaderlo dalla filosofia per indirizzarlo verso
lauree più redditizie. Cita da Pascal: “Tutti si sforzano di diventare re o
guerrieri, senza prima chiedersi cosa significhi essere uomini”. Non ci sono
state generazioni aiutate dagli adulti, le nostre scelte le facciamo in piena e
totale responsabilità. Se un giovane percepisce gli adulti come cattivi maestri
può scegliere se sfruttare l’alibi implicito o vivere seguendo il criterio di
giustizia che c’è in lui. Il bivio tra alibi ed anticonformismo si presenta
quotidianamente.
Intervento 8 – Ci è stata
proposta una ricerca filosofica orientata al senso/valore. Si può concepire una
ricerca che prescinda dal senso/valore?
Commento – Molti filosofi risponderebbero
affermativamente. Sartre diceva di aver capito che nulla avesse senso, inclusa
la sua propria esistenza. Come studioso di filosofia Cavadi deve ammettere che
questa vena nella filosofia c’è. Invece come filosofo la questione lo
incuriosisce ed ha l’impressione che ci sia distacco tra i libri di coloro che
negano il senso e la loro vita. Ricorda la vicenda di un filosofo sofista, persuasore
di morte, che appunto persuadeva i suoi discepoli al suicidio sulla base
della pretesa mancanza di senso delle loro vite. Lui stesso però non si
suicidò, per non venire meno al compito, che si era imposto, di persuadere gli
altri. Quindi nella sua vita un senso, seppur cupo e denegato, lo aveva trovato. Sartre stesso, nell’autobiografia, giustifica
la rinuncia al suicidio ipotizzando che valga la pena vivere la vita per
capirne l’insensatezza, e per aiutare anche altri a capirla. Trova cioè un
estremo residuo di senso nell’assurdo. Se ne deduce che c’è iato tra proclamare
l’assenza di senso e viverla. Sartre è riuscito ad attribuire un senso persino
alla mancanza di senso. Per fare filosofia dobbiamo partire senza una
convinzione aprioristica che un senso ci sia ( chi inizia postulando un senso,
per esempio riponendolo in Dio, parte, filosoficamente parlando, col piede
sbagliato). Ma se non devo presupporre un senso, non devo neanche essere
altrettanto dogmatico nel negare che un senso ci possa essere. E’ altrettanto
poco filosofico partire presupponendo che non ci sia neppure un brandello di
verità.