“Repubblica – Palermo”
1.12.13
IL DISPIACERE PER L’ONESTA’ PERDUTA
Le recenti manifestazioni a sostegno di Nino Di Matteo e degli altri
magistrati palermitani impegnati in prima linea sono sostanzialmente riuscite.
Al di là dei numeri (mille, millecinqucento, duemila partecipanti?) resta vero
che la città ha risposto positivamente all’appello. Se si considera la fase
generale di stanchezza e di demotivazione alla partecipazione, si può essere
soddisfatti. Inoltre, come ha sottolineato il sindaco Orlando nel breve
intervento conclusivo, iniziative come questa non hanno una valenza puramente
locale: anche per via del processo sulla trattativa fra pezzi dello Stato e
pezzi della mafia, sono in gioco interessi di portata nazionale. Ancora una
volta Palermo è stata chiamata a fare da campanello d’allarme, e da sveglia,
all’intero Paese.
Eppure…eppure qualcuno di noi è tornato a
casa con un retrogusto amaro nella bocca. Innanzitutto perché, guardando tanti
volti noti e meno noti che sfilavano in silenzio o urlando slogan di protesta civile, era impossibile non ricordarsi di tanti
episodi vissuti in prima persona: quel dirigente scolastico non è lo stesso
che, da insegnante, ti ha chiesto una spintarella per vincere il concorso a
preside? Quello studente universitario non è lo stesso che, quand’era tuo
alunno al liceo, marinava volentieri la scuola e teorizzava la liceità della
copiatura delle versioni? E quel dirigente del PD non è lo stesso che, in
campagna elettorale, offriva posti di lavoro (virtuali) in cambio di voti? E quell’avvocatessa ‘progressista’ e
femminista non è la stessa che è solita intascare onorari senza dare uno
straccio di fattura? Scorrono, come in un film lento, scene di ordinaria
furbizia. E, anche se non sai dirlo bene come lo ripeteva Paolo Borsellino
negli ultimi mesi prima di morire, intuisci che c’è un nesso fra questo
sottobosco di intrallazzi e di raccomandazioni, di inadempienze e di abusi, e
il sistema mafioso. Intuisci che certi attacchi congiunti, da esponenti delle
istituzioni e da esponenti di Cosa nostra, ai magistrati più testardi delle Procure
siciliane sono la punta di un iceberg
sommerso, ma molto più esteso e radicato di quanto appaia a prima vsta. Se così
fosse, la lotta alla mafia – prima che politica – dovrebbe essere etica: non
per eludere le questioni legislative e amministrative, ma per dare ad esse
linfa e vigore.
Una seconda
ragione di amarezza che avverti tornando a casa è che un po’ ti vergogni di
vivere in un Paese in cui devi interrompere una riunione di lavoro, o rinunziare
a un concerto di musica classica,
non per una festa popolare, bensì per chiedere che dei magistrati
possano continuare a fare il proprio mestiere senza che si elevi troppo la
probabilità di essere uccisi. Che siano protetti in vita prima che onorati in
morte. Non è il caso di entrare nei dettagli tecnici (il tenore delle minacce
di Riina, la fondatezza di alcune ipotesi di provvedimenti disciplinari da
parte del Csm…) delle tante problematiche in gioco: la questione è complessiva,
di clima che si respira. Si ha l’invincibile sensazione che sia più facile
eludere le leggi (specie se si è ricchi di denaro e di relazioni sociali
altolocate) che farle rispettare (specie se non ci si è legati mai a una lobby e si è tentato di mantenere
l’autonomia nell’esercizio della propria professionalità). E’, insomma, la
sensazione che l’Italia sia un Paese dove l’onestà non è più una virtù. E non è
una bella sensazione.
Augusto Cavadi
ww.augustocavadi.com
3 commenti:
Lucido e pungente come sempre. Complimenti !
Ottimo commento!
Elio
Egregio professore ,
ancora una volta mi trovo d'accordo con lei riguardo alle sue osservazioni dal titolo "Il dispiacere dell'onesta' perduta " pubblicato su "Repubblica " di oggi 1 dicembre .
Riterrei pero' gli episodi da lei citati come primo motivo di amarezza significativi di una deprecabile doppia morale diffusa nel costume nazionale , piuttosto che espressione di nessi col sistema mafioso .Vero é tuttavia che quando quel " sottobosco di intrallazzi e di abusi ", cui lei accenna , si traduca in condotte sopraffattorie o , peggio violente , quel sistema é chiaramente riconoscibile .
Quanto , poi , alla seconda ragione d'amarezza , cui lei dedica le sue ulteriori osservazioni , mi sembra di poter desumere dal contesto che lei voglia fondatamente riferirla , piu' estensivamente di quanto appare a prima vista , alla constatazione del diffuso inquinamento del nostro vivere civile , alla dilagante corruzione dei nostri amministratori pubblici , alla prevalente considerazione da parte di molti di costoro dell'interesse privato o partitico rispetto a quello pubblico che dovrebbero perseguire ; questa ,ne convengo , é una vera ,soverchiante ragione di diagio del vivere nel nostro paese .Cordiali saluti , Rosario Gino
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