“Centonove” 29.11.2013
LIBERI DI PARLARE ANCHE IN CHIESA, SOPRATTUTTO IN CHIESA
Maria D’Asaro e Ornella Giambalvo sono tra
le tantissime persone che, da decenni, partecipano alla più straordinaria
liturgia eucaristica cattolica che si celebri a Palermo: la messa domenicale presieduta
nel quartiere Ballarò da don Cosimo Scordato. Per festeggiarne il 65mo
compleanno hanno pubblicato, col titolo Libertà
di parola (Cittadella editrice, Assisi 2013, pp. 308, euro 19,00), una
corposa selezione per tematiche delle sue omelìe che sarà, per molte persone
che le abbiano ascoltate direttamente (per esempio per molti studenti
provenienti dalla Sicilia che hanno trascorso alcuni anni nel vicino pensionato
universitario “San Saverio”), motivo di gioia intellettuale ed esistenziale
rilmeditare. Anche perché le
pagine ci restituiscono, quasi integralmente, la figura del presbitero
bagherese trapiantato a Palermo.
Una prima caratteristica di don Scordato è la sua discrezione. Anche in
queste prediche la sua è una presenza più per sottrazione che per esibizione.
Rarissimi o del tutto inesistenti, infatti, i riferimenti autobiografici:
secondo lo stile di Gesù di Nazareth, egli non annunzia sé stesso, bensì il
Regno di Dio. Come il vangelo non è cristocentrico, bensì teocentrico (o, se
volessimo essere puntigliosi, regnocentrico),
così questi commenti al vangelo non sono cosimocentrici
perché chi le pronunzia non è
l’annunziatore di sé stesso, bensì un dito che rinvia ad altro:
all’Altro che è il Padre, all’altro che è il fratello.
Questa discrezione non equivale ad assenza di originalità. Don Scordato
vuole essere fedele alla Parola di Dio: ma questa fedeltà consiste nel
ripeterla come fossimo magnetofoni, pappagalli ammaestrati? O non piuttosto
nell’interpretarla alla luce della storia in cui siamo immersi e da cui siamo
sfidati? Egli non si sottrae al compito di interrogare la Bibbia a partire
dalla quotidianità, dalla concretezza della cronaca. La sua fedeltà è l’unica
fedeltà possibile nella tradizione biblica: è una fedeltà creativa. E questa è
una seconda caratteristica della sua personalità che emerge da queste pagine.
La Bibbia è cresciuta su se stessa proprio perché, sino a quando non è stato
fissato un canone, ogni narratore aveva la libertà di ampliarla, approfondirla,
attualizzarla. La Bibbia non è per i cristiani ciò che il Corano è per i
musulmani: ai cristiani non importa custodire in bacheca un Libro per non farlo
sporcare dalla polvere dei secoli, quanto piuttosto una storia – che continua
sino ad oggi, che continuerà sino alla fine di questo mondo - di cui quel Libro
è parziale, incompleta, narrazione.
Questa discrezione, questo procedere con
gli altri evitando di mettersi davanti
agli altri, lo si nota particolarmente perché, se è una virtù rara fra noi
esseri umani, è addirittura rarissima tra i preti. Qui tocchiamo una terza
caratteristica del modo di essere e, dunque, di predicare di don Cosimo: la sua
laicità. Egli è prete tanto poco quanto Gesù volle essere sacerdote. Una volta,
rispondendo ad una mia domanda nel corso di una lunga intervista che divenne un
libro, egli sostenne che “il
‘presbitero’, letteralmente ‘l’anziano’, non ha una ‘parte’ da recitare né
tanto meno da far prevalere sugli altri: egli dovrebbe essere soltanto il ‘luogo’
visibile (perché il luogo in senso assoluto è lo Spirito di Cristo) in cui i
‘laici’ si incontrano”. E davvero don Cosimo, con la sua comunità della chiesa
di San Francesco Saverio all’Albergheria,
è stato ed è per molti di noi laici un ‘luogo’ di incontro, di
fecondazione delle diverse identità culturali, di meticciato delle nostre
diverse culture di provenienza.
L’invisibilità di don Cosimo, la sua
originalità malgrado sé stesso (“a sua insaputa”), la sua laicità. Ma vorrei
aggiungere almeno una quarta caratteristica che fa continuamente capolino nelle
sue omelie: il suo humour. Egli
prende la vita con… teologia, ma anche con…filosofia: è un maestro nell’arte di
sdrammatizzare, di vedere le cose da un punto così alto che esse si
ridimensionano e si manifestano nella loro piccolezza. Le battute umoristiche
anche nel bel mezzo di un commento serissimo al vangelo del giorno non sono
solo sintomo di un carattere positivo, allegro, resistente; bensì anche di un
distanziamento ironico tipico di personalità così sagge da saper ridere, o per lo meno sorridere,
delle miserie umane. Non posso fare a meno di chiudere con un ricordo personale
a questo proposito. Circa venti anni fa una ragazza del Centro sociale gli
riferì scandalizzata che un parroco della Palermo-bene, a cui si era rivolta
per chiedere il permesso di vendere all’uscita dalla messa alcuni oggettini di
natale preparati dalle donne del quartiere, le aveva risposto: “No, cara. I
vostri regalini continuate a venderli a Ballarò. Di’ a don Scordato che ognuno
si munge la sua vacca”. Forse qualche altro prete sarebbe rimasto dispiaciuto,
se non offeso, dalla risposta, ma Cosimo si limitò ad osservare seraficamente:
“Dovete capirlo, il mio confratello è abituato a un linguaggio… pastorale”.
Augusto Cavadi
1 commento:
LE PAROLE DI DON COSIMO
"Libertà" di per sè è inconfinabile... Le parole di don Cosimo non possono e non devono restare aldiqua dello stretto. Maria e Ornella hanno fatto un grande lavoro: potercene servire, per imparare tante belle parole (e non "belle" parole), è il miglior dono di Natale che potessimo ricevere. Come ricambiare? Non è previsto. Avete mai visto Babbo Natale chiedere qualcosa in cambio per i suoi doni? Il mio desiderio è che quelle parole non abbiano confini, e che dalla migliore (ma anche no) Sicilia possano approdare - oltre lo stretto, ad ogni stretto modo di pensare - sottocasa di chiunque ne abbia bisogno. A cominciare dall'alto.
DOC (R2°)
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