UN LIBRO CHE RIVELA MOLTO DI DON
COSIMO SCORDATO
Ieri
sera, nella chiesa di san Francesco Saverio all’Albergheria di Palermo, abbiamo
festeggiato i 65 anni di Cosimo (che coincidono con i 41 del suo ministero
presbiteriale) con un incontro affollatissimo (almeno trecento persone),
intenso emotivamente ma anche allegro.
Mi era stato chiesto di preparare un intervento sul suo libro appena
uscito (Libertà di parola a cura di
Maria D’Asaro e Ornella Giambalvo, Cittadella, Assisi) in cui sono state raccolte,
in sette nuclei tematici, le trascrizioni di molte sue omelie domenicali e
avevo preparato gli appunti che state per leggere. Come accade in questi casi
(anche per adattarmi al contesto un po’ imprevisto: avevo capito che saremmo
intervenuti in due - il vescovo,
di Cassano sullo Jonio, Nunzio Galantino e io – ma in effetti dietro il tavolo
eravamo in otto!), nell’intervento a braccia ho detto cose che non avevo
scritto e non ne ho detto molte che avevo scritto.
Qui di seguito, comunque, gli appunti
preliminari.
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Molte volte si scrive un libro per nascondere il proprio vero “io”: ed è
secondario che lo si nasconda per pudore o per stategia, per timidezza o per
calcolo. Quale che sia la ragione, il risultato è un testo anonimo, senza
paternità, e soprattutto senza autenticità.
Questo libro, che solo l’intelligente pazienza di due donne innamorate
di don Cosimo – come molti di noi –
poteva riuscire a tessere in anni di lavoro, per fortuna e per grazia di
Dio non è un testo che nasconde il volto dell’autore: al contrario lo racconta
pagina dopo pagina e, alla fine, lo restituisce quasi integralmente.
1. La
discrezione di Cosimo
“Ma come fai a dire quello che dici ” – mi sento già obiettare – “se
Cosimo non cita mai se stesso, non riferisce mai episodi della sua vita?”.
Proprio questa osservazione, del tutto fondata, mette in evidenza un primo
aspetto della personalità di Cosimo: in un tessuto ecclesiale come quello
meridionale in cui il prete approfitta dell’omelia per promuovere le proprie
preferenze ideologiche, quando non addirittura i propri interessi
di….”parrocchia”, egli si fa notare per la sua discrezione. Certo, ci vuole occhio fine per cogliere questa
presenza per sottrazione: ma, con un po’ di attenzione, ci si può riuscire. Se
volessi imbarazzarlo molto, direi che lo stile del suo essere-in-una-situazione
è simile a quanto raccontano di Dio certe tradizioni cabbalistiche: Egli è
presente nella creazione in quanto assente, crea facendo un passo indietro e
così aprendo uno spazio di presenza, di libertà e di responsabilità
all’universo. Ma non voglio imbarazzare molto Cosimo, mi basta imbarazzarlo
poco: e allora, invece che evocare lo Zim-zum
del Creatore, mi accontento di evocare lo stile di Gesù di Nazareth. Il quale
non ha mai annunziato sé stesso, bensì il Regno di Dio: il vangelo non è
cristocentrico, bensì teocentrico (o, se volessimo essere puntigliosi, regnocentrico). Queste omelie non sono cosimocentriche perché chi le pronunzia
non è il messsaggero di un proprio
messaggio ma è, vuole essere, un continuo rinvio ad altro: all’Altro che è il
Padre, all’altro che è il fratello.
Ci sono almeno due episodi che mi si
sono ficcati nella memoria in proposito. Il primo è legato ad un’assemblea
popolare in chiesa con il sindaco Orlando, alcuni assessori di una sua giunta
di “Primavera” e alcuni alti burocrati del Comune. Gli ospiti si accomodarono
sotto la balaustra, con le spalle all’altare e rivolti verso la gente:
Cosimo - me lo fece notare con la
sua straordinaria finezza interiore Francesco Michele Stabile – si sedette con
noi, in mezzo alla gente, alla sua gente. Per due ore non occupò il proscenio,
evitò accuratamente di mettersi in mostra. Gesti come questo non si
improvvisano: sono l’espressione spontanea di una convinzione profondamente
maturata.
Il secondo episodio è un po’ triste perché
legato alla risposta che mi diede un ex-amico quando gli chiesi come mai non
venisse più a messa a San Francesco Saverio: “Perché mi disturba il
protagonismo di Cosimo. E’ evidente che vuole occupare il centro della scena,
monopolizzare l’attenzione su di sé”.
Ebbi la conferma di ciò che avevo da tempo sospettato e che non avevo
voluto ammettere neppure a me stesso: che il mio amico di allora fosse un
povero ambizioso, frustrato, che proiettava sugli altri le proprie velleità.
2. La fedeltà
creativa di Cosimo
Nel giudizio ingiusto di quel mio amico di
allora si nascondeva, “a sua insaputa”, un briciolo di verità: Cosimo non vuole
farsi notare, ma bisogna riconoscere che invece lo si nota, anzi lo si ricorda
a lungo. Perché? Mi limito a una caratteristica che emerge da queste omelie.
Egli vuole essere fedele alla Parola di Dio: ma questa fedeltà consiste nel
ripeterla come fossimo magnetofoni, pappagalli ammaestrati? O non piuttosto
nell’interpretarla alla luce della storia in cui siamo immersi e da cui siamo
sfidati? Egli non si sottrae al compito di interrogare la Bibbia a partire
dalla quotidianità, dalla concretezza della cronaca. La sua fedeltà è l’unica
fedeltà possibile nella tradizione biblica: è una fedeltà creativa. La Bibbia è cresciuta su se stessa proprio
perché, sino a quando non è stato fissato un canone, ogni narratore aveva la
libertà di ampliarla, approfondirla, attualizzarla. La Bibbia non è per i
cristiani ciò che il Corano è per i musulmani: ai cristiani non importa
custodire in bacheca un Libro per non farlo sporcare dalla polvere dei secoli,
ma importa una storia – che continua sino ad oggi, che continuerà sino alla
fine di questo mondo - di cui quel Libro è parziale, incompleta, narrazione.
3. La laicità
di Cosimo
Questa discrezione - procedere
con gli altri evitando di mettersi davanti agli altri - e questo senso critico li ho notato
particolarmente perché, se sono virtù rare fra noi esseri umani, sono
addirittura rarissime tra i preti. Qui tocchiamo una terza caratteristica del
modo di essere e, dunque, di predicare di Cosimo: la sua laicità. Egli è prete tanto poco quanto Gesù è stato, per sua
scelta convinta, ‘sacerdote’.
Permettetemi di sottolineare questa laicità di Cosimo con un altro
ricordo. Una sera arrivammo a Piazza Armerina per ricevere un premio antimafia
destinato al nostro Centro sociale. Eravamo in tre, ma gli organizzatori non
conoscevano di persona nessuno di noi. Quando entrammo, si fecero
ossequiosamente avanti verso Nino Rocca – che avanzava serio, composto, con il
capo chino - accogliendolo con un
“Benvenuto, padre!”. Nino sorrise e si schernì. Allora si rivolsero verso di
me, ma anch’io dovetti confessare di non essere prete. L’ultima persona a cui
pensarono era proprio Cosimo, anche nel portamento e nell’abbigliamento il più
‘laico’ de terzetto…
Lo vorrei dire, con toni più seri, richiamando un’esegesi che Cosimo mi
dettò nel corso di un’intervista che poi è diventato un libro, Fare teologia a Palermo, tanto fortunato
editorialmente quanto snobbato o addirittura bollato come “robaccia” negli
ambienti ecclesiali : quando la Lettera
agli Ebrei dice che “Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini (ex hominibus), ed è stabilito per
servire Dio a vantaggio degli uomini”, che cosa voleva dire? Che Gesù “si è
fatto uomo, e non angelo”, perché voleva vivere “tra gli uomini” e a servizio degli uomini. Ma – denunzia in
quell’intervista Cosimo – la traduzione corrente, diventata “tratto fuori dagli
uomini”, ha finito col “significare esattamente il contrario di quello che
voleva dire l’autore”: “essa ha finito col legittimare nuovamente la concezione
‘pagana’ del sacerdozio che proprio la Lettera
agli Ebrei intendeva ribaltare. Infatti, questa espressione e la sua
traduzione hanno favorito l’idea che il prete deve essere ‘tolto via’ dal
contesto umano, deve essere reso ‘diverso’ dagli uomini per poter poi, in
questa condizione di estraneità, ‘intercedere’ a favore dei suoi simili. (…) Ma
questo è esattamente l’opposto della visione cristiana!” nella quale “il
‘presbitero’, letteralmente ‘l’anziano’, non ha una ‘parte’ da recitare né
tanto meno da far prevalere sugli altri: egli dovrebbe essere soltanto il
‘luogo’ visibile (perché il luogo in senso assoluto è lo Spirito di Cristo) in
cui i ‘laici’ si incontrano”. E davvero Cosimo è stato ed è per molti di noi
laici un ‘luogo’ di incontro, di fecondazione delle diverse identità culturali,
di meticciato delle nostre diverse culture di provenienza.
4. Lo humour di Cosimo
L’invisibilità di Cosimo e la
sua originalità malgrado sé stesso (“a sua insaputa”); il suo senso critico; la sua laicità. Ma
vorrei aggiungere almeno una quarta caratteristica che fa continuamente
capolino nelle sue omelie: il suo humour. Capisco che ci può essere la
tentazione di relegare a mero dato caratteriale della psicologia individuale di
Cosimo questo aspetto, ma sarebbe una perdita: si perderebbe, infatti, lo
spessore teologico e filosofico del suo umorismo.
Gli esegeti fanno notare che autori come
il redattore del quarto vangelo, il vangelo secondo Giovanni, più toccano
argomenti seri, anzi tragici, più provano a vedervi gli aspetti divertenti,
paradossali. Padre Ignace de la Potterie ha potuto trattare l’ironia del
vangelo secondo Giovanni che, per esempio, fa dire a Pilato che mostra alla
folla Gesù condannato a morte: “Ecco l’uomo”. A quella gentaglia inferocita,
che gli ha preferito Barabba, Pilato
- senza accorgersene – sta dicendo: “Ecco chi è il vero uomo, ecco il
modello antropologico, ecco l’umanità come Dio avrebbe voluto che fosse!”.
Cosimo prende la vita con… teologia, ma anche con…filosofia: è un maestro
nell’arte di sdrammatizzare, di vedere le cose da un punto così alto che esse
si ridimensionano e si manifestano nella loro piccolezza. Il suo distanziamento
ironico è tipico di quelle personalità così sagge da saper ridere, o per lo meno sorridere, delle miserie umane.
Qualcuno direbbe che non è un uomo “pieno di sé”, ma “pieno di se”: di “e se
fosse diversamente…?”.
Vorrei chiudere con due ricordi su questo
tasto. Il primo è quando una ragazza del Centro sociale gli riferisce
scandalizzata che un parroco della Palermo-bene, a cui si era rivolta per
chiedere il permesso di vendere all’uscita dalla messa alcuni oggettini di
natale preparati dalle donne del quartiere, le risponde: “No, cara ragazza.
Restate a vendere i vostri regalini a Ballarò. Di’ a don Scordato che ognuno si
munge la sua mucca”. Forse qualche altro prete sarebbe rimasto dispiaciuto, se
non offeso, dalla risposta, ma Cosimo si limitò ad osservare seraficamente:
“Dovete capirlo, il mio confratello è abituato a un linguaggio… pastorale”.
Scordato può risultare più o meno
condivisibile, mai però prevedibile. Egli incarna come pochissimi altri
esponenti del clero la libertà di chi, avendo meditato su un tema, avverte il
diritto-dovere di dire ciò che ritiene giusto: sia che ciò coincida con
l’insegnamento ufficiale del magistero romano del momento sia che se ne
discosti profeticamente. Radicata nella libertà, la sua parola - a sua volta – è liberatrice:
alleggerisce, infatti, l’interlocutore dalle supefetazioni dogmatiche e dagli
appesantimenti moralistici che possano soffocare la fede autentica nel vangelo.
Ciò spiazza molti ascoltatori, come quel medico che – dopo un intervento di
Scordato a un convegno di bioetica in cui mostrava la compatibilità
dell’eutanasia volontaria con l’etica biblica – gli chiese, infastidito, se
avesse parlato in forma ufficiale o meno; e si sentì candidamente rispondere
con un lieve sorriso: “In forma sottufficiale”.
Vorrei continuare a lungo, ma mi fermo. Anche perché
mi sembrerebbe di fare a mia volta un’omelìa funebre in memoria di un amico
vivo, vivissimo. Anzi, a proposito della sua ironia, in un momento di
affettuosa mestizia, mi scappò di dirgli che mi sarebbe piaciuto avere la
possibilità, durante i suoi funerali, di dare la mia testimonianza di stima e
di gratitudine nei suoi confronti. Ma Cosimo, senza voler spezzare il momento
di tenerezza, si limitò a sussurrarmi: “Comunque, spero di essere io il primo a
renderti questo omaggio”.
Augusto
Cavadi
Palermo, sabato 30 novembre 2013
4 commenti:
Sei insuperabile, caro Augusto. Grazie.
Maria
Ricordo con nostalgia le domeniche in cui andavo a San Saverio per ascoltare le omelie di Don Cosimo. Mi mancano. Leggerò di certo il libro (come ho fatto, grazie a te, Augusto, con "Fare teologia a Palermo") per riassaporare il piacere che provavo all'epoca: quello di far parte di un tutto che va oltre i limitati confini di una chiesa.
Lidia
Abituati come siamo nella nostra Palermo a onorare e celebrare i suoi figli migliori post mortem, in più momenti, la sera del 30 novembre scorso, ho dovuto rettificare il mio atteggiamento di ascolto: non del passato e di un trapassato si parlava, ma del presente e di un vivo. Cosimo era lì allo stesso tavolo dei relatori, vigile e partecipe. Con la sedia arretrata di quel tanto che bastava per prendere quella sana distanza dalle cose, per non farsi travolgere dai sentimenti. Il suo volto proteso verso l’oratore di turno, il suo sguardo attento, la sua espressione sorpresa come per dire - e poi l’ha detto - “tutto questo sta capitando a me?”. E mentre si susseguivano le testimonianze, le manifestazioni di stima e di affetto nei suoi confronti, ho colto il senso di quella manifestazione guardando tutti gli altri volti, sentendo i respiri, le risa, gli spontanei scrosci d’applausi, all’unisono, un unico afflato.
Così anch’io mi sono sentito abbracciato ed ho partecipato all’abbraccio rivolto a Cosimo, lo stesso abbraccio che lui offre a noi, sempre. E ho riguardato come familiari e coerenti le forme della chiesa in cui stavo - e ci ritroviamo ogni domenica - e che Cosimo ci ha insegnato a “leggere”: al contempo quadrato-ottagono-cerchio, secondo uno sviluppo ascendente, ma cerchio già dal basso mediante quella sorta di deambulatorio che si ottiene procedendo al di là delle otto colonne centrali, attraversando i quattro esagoni “filosofico-teologici”. Circolare, quindi, come la posizione delle panche e dei fedeli, come le idee che lì dentro circolano, quella circolarità unita all’ascendenza che avvicina l’uomo all’Essenza Divina; circolare come l’abbraccio fisico e spirituale che Cosimo ci propone e che riesce a darci, entro cui ci tiene, senza stringerci, senza legarci. E la luce che viene dall’alto è la risposta. Non la soluzione, ma l’inizio. Un inizio, sempre nuovo, consistente nella definizione dei dubbi, nel porsi i perché, nell’aver voglia di cercare e di capire. Una luce, la Luce della Parola, che illumina la mente, il cuore, la via. E Cosimo la “riflette” bene, posto dove egli si pone, al nostro livello, ce la fa vedere, ce la fa capire.
Una cosa sola gli ho detto, e in qualsiasi momento mi vien voglia di dirgli, e gli dico: grazie.
Palermo, 2 novembre 2013
Sandro Riotta
Caro Augusto
ti sono molto grato per il tuo intervento, allegro e diretto, sia quello per via orale che quello scritto;
sei stato molto affettuoso e hai voluto attardarti soprattutto sugli aspetti positivi, come si addiceva ad un contesto di festa; e va bene così; se fossi umile direi che hai dimenticato i tanti aspetti negativi, pardon! piuttosto che se sono vere le cose che hai detto, purtroppo sono di più quelle che non hai detto perché Dio è veramente generoso e si spreca con tutti noi!
ma solo gli amici sanno riconoscere e compatire questa situazione!
un abbraccio a te e ad Adriana
Cosimo
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