“CENTONOVE”, 4.10. 2013
LAVAGNINO E LA
MALATTIA D’ESSER SINCERI
Una
delle nozioni peggio quotate nel dibattito pubblico attuale è certamente
“verità”. Siamo un po’ tutti dei Ponzio Pilato e, con un sorriso ora di
sufficienza ora di leggero rimpianto, ci chiediamo cosa essa sia. Alessandra Lavagnino, già nel 2001 (ma
io ne ho avuto contezza, per gentile dono dell’autrice, solo sfogliando la
sesta edizione del 2013), in Una granita di caffè con panna
(Sellerio, Palermo), ha dato una risposta convicente: la verità è ciò sulla cui
rimozione si fondano le società (in generale), la società siciliana (in
particolare). Altro che chimera inafferrabile! Basta che. attraverso qualche
crepa pur minima, essa faccia capolino nell’animo di un solo individuo - come nel caso della protagonista che,
dopo un incidente stradale, non riesce più a non dire ciò che veramente pensa e
che pensa sia veramente – ed ecco che si sconvolgono inveterati equilibri di
coppia, di famiglia, di aziende, di più ampi gruppi sociali…
Dell’utilità, anzi della necessità, della menzogna per la vita, dunque?
Potrebbe essere un’interpretazione possibile. Che è poi ciò che pensa la
maggior parte dell’umanità. Ma il racconto si presta a un’altra interpretazione
(che non escluderei coincidere con l’intenzione originaria dell’autrice): posto
che una cosa è mentire, un’altra evitare di dire sempre e per intero la verità,
la convivenza tra mortali può esigere talvolta la verità senza sconti, tal
altra (quando non sono in gioco principi etici e normative essenziali) la
verità selettiva. E la menzogna vera e propria? Quella (tranne casi-limite di
coercizione violenta della propria libertà: il partigiano in mano ai nazisti)
può risultare utile nell’immediato, mai nel lungo periodo. Una famiglia in cui
nessuno dice all’altro che cosa non accetta è una famiglia solo apparentemente
in pace; così come una società omertosa, in cui il criminale può contare sul
silenzio di eventuali testimoni, è solo apparentemente una società armoniosa.
In questi contesti una parola di verità
- o almeno di sincerità – può far deflagrare falsi equilibri e provocare
macerie: che potranno restare tali o diventare materiale di costruzione di nuovi, reali, equilibri.
Il racconto che la protagonista snocciola in forma autobiografica
coinvolge e suscita un’attesa (per gli esterofili: una suspence) : ma, alla fine, la sorpresa non arriva. O forse è
proprio questa: la mancanza di un evento sorprendente. Che si volesse dire, a
noi lettori, che non sempre la vita sorprende? Che scorre senza regalarci
svolte decisive e novità inedite? O, peggio ancora, che la vita può tornare
‘normale’ solo se si guarisce dalla ‘malattia’ di essere sinceri?
Augusto Cavadi
1 commento:
Bella recensione: suscita il desiderio di leggere il libro.
Ciao, Elio
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