http://www.cronachedigusto.it/archiviodal-05042011/343-la-curiosita/11789-fenomenologia-della-panella-una-risposta-alla-questione-sul-senso-della-vita.html
Tra
le prime cose che colpiscono gli
ospiti di Palermo è senza dubbio l’abbondante offerta di cibo di strada. Puoi
faticare a trovare una libreria, persino un giornalaio; puoi dover girare un
po’ per una farmacia o per un veterinaio; ma, intanto che hai percorso duecento
o trecento metri alla ricerca della tua méta, difficilmente non ti sei
imbattuto in qualcuno che vende panini con la milza, stigghiole, quarume e – in primis et ante omnia – panelle e
crocché.
Perché quest’abbondanza di
occasioni per mangiare, questa ubiquità e questa continuità oraria? Un’ipotesi
filosofica me l’ha suggerita una volta un prete, rotondetto e rubicondo, nel
corso di una scampagnata del primo maggio. Eravamo, con la mia giovane comitiva
di allora, suoi ospiti e avevamo abbondantemente apprezzato le varie portate,
dagli antipasti al dolce. A un certo punto tirò fuori dal frigorifero non so
che cosa - mi pare una torta
gelata – ma dichiarai che proprio non ce la facevo più a ingurgitare altri
alimenti. Insisté gentilmente e altrettanto gentilmente resistetti. Fu allora
che mi arrivò il suo affondo teoretico: “Ma se ci levi il mangiare, che resta
della vita?”.
Ecco dunque una prima ipotesi: pane e
panelle abbondano per le strade palermitane per rispondere alla questione
esistenziale sul senso della vita. In genere ci insegnano che si mangia per
vivere, ma forse dalle nostre parti si vive per mangiare. O, per lo meno, si mangia per dare
senso alla vita. Per Ungaretti la morte si sconta vivendo; se fosse stato
conterraneo, avrebbe aggiunto che la vita si sopporta mangiando.
Se qualcuno non fosse convinto da questa ipotesi sulla strabordante
fenomenologia del pane-e-panelle, potrebbe esaminare una seconda ipotesi.
Palermo è una città bella da vedere da Monte Pellegrino o dalla nave che arriva
da Napoli, ma difficile da vivere: maleducazione, sporcizia, inquinamento,
viabilità caotica, talvolta scippi, molto più spesso abusi edilizi e squarci di
degrado urbanistico…Insomma, qualcosa che assomiglia molto a un girone infernale.
Come resistere senza un viatico adeguato? Per questo un dio pietoso, nella
notte dei tempi (o, più probabilmente, al tempo della dominazione araba), ha
ispirato l’antidoto alla durezza
della vita a Palermo: suggerendo, a qualche anonima massaia, le panelle fritte
e rifritte nello stesso olio (talvolta tramandato da nonna a nipote). Insomma,
per parafrasare il brano di un romanzo di Dacia Maraini, rimane valida la risposta di un’anziana zia
alla domanda della nipotina: “Vuoi sapere che cos’è l’inferno? Immagina una
Palermo senza panini e panelle!”.
Se le panelle costituiscono la risposta al problema antropologico (che
senso ha la vita umana?) e al problema sociologico (come è possibile
sopravvivere al girone palermitano ?) , si spiega non solo l’onnipresenza dei
baracchini delle friggitorie, ma anche la cura pedagogica con cui intere
generazioni di genitori insegnano ai propri piccoli il culto delle panelle. Lo
attesta un episodio – al limite fra la cronaca e la leggenda – che ormai fa
parte dell’immaginario collettivo palermitano. Alle dieci del mattino una
coppia di giovani sposi si precipita all’Ospedale dei bambini con un neonato di
quattro mesi fra le braccia. Supplicano il medico di turno di aiutare il
figlioletto, preda di crampi allo stomaco. Ovviamente il sanitario inizia col
chiedere quale sia stato l’ultimo alimento assunto dal piccolo. Alla risposta
agghiacciante (“Gli abbiamo dato uno scioppettino
di birra”), il medico non può fare a meno di osservare: “Siete pazzi? Una
bottiglietta di birra a un neonato di quattro mesi?”. Ma il genitore,
palermitano ‘doc’, non si scompone
e, a sua volta, ribatte: “Ma, dopo il panino con le panelle, gli potevamo dare
il latte?”.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Ottimo pezzo. C'è tutta Palermo, nel pane e panelle ...
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