“Madrugada”
Settembre 2013
Gli
intellettuali: controllori dei politici o clienti privilegiati?
Sin dai
tempi del buon Platone non è stato possibile riflettere sulla politica senza
interrogarsi sui rapporti con gli intellettuali. Si tratta infatti di due mondi
originariamente estranei per vocazione: i politici sono protesi all’azione, gli
intellettuali alla contemplazione. I primi rischiano di affezionarsi al potere
rinunziando a un progetto complessivo di giustizia sociale, i secondi di
cincischiare con i propri sogni senza spostare di un centimetro le condizioni
effettive della società. La soluzione ventilata da Platone è tanto semplice da
enunciare quanto ardua da attuare: che i politici diventino intellettuali o gli
intellettuali imparino a fare politica. Ogni tanto il miracolo avviene
(Pericle, Marco Aurelio, Adriano, Lorenzo de’ Medici, La Pira, Havel…), ma la
statistica sembra attestare che si tratta di eccezioni a conferma della regola:
l’uomo di governo non ha la voglia, e quando ha la voglia gli manca il tempo,
di meditare sulle scelte di lungo periodo; l’uomo di pensiero non ha la voglia,
e quando ha la voglia non ha la capacità, di occuparsi dell’amministrazione
della cosa pubblica.
Il meno peggio che possa capitare è allora una qualche forma di
cooperazione fra “re” e “filosofi”: ma anche questa via è irta di ostacoli e
trabocchetti. Pensare significa, infatti, criticare: non nel senso banale di
fare le pulci a ogni costo, bensì nel senso etimologico di discernere il bene e
il male, di chiamare il positivo e il negativo con il vero nome.
L’intellettuale di professione dovrebbe frequentare i palazzi del potere come
coscienza critica: dunque consigliere propositivo, ma anche controllore severo.
La storia ci insegna quanto poco i governanti amino questo genere di supporto: Boezio
e Seneca sono solo alcuni dei molti filosofi che hanno pagato col carcere e la
morte la frequentazione delle corti. In tempi più recenti, sono stati i philosophes a verificare l’impossibilità
di un “assolutismo illuminato”: Voltaire sbatte la porta della reggia prussiana
dopo aver tentato invano di rendere più vivibile un Paese che gli apparve una
grande caserma in assetto perenne di guerra.
Se la storia registra i nomi degli intellettuali che hanno, più o meno
drammaticamente, rotto il rapporto di collaborazione con i governanti, non fa
altrettanto con i nomi - assai più
numerosi – degli intellettuali che non hanno consumato nessuna rottura
clamorosa perché hanno preferito vendere il proprio silenzio. Le cronache
italiane di questi ultimi decenni attestano non un fenomeno nuovo, ma un
fenomeno antico ampliatosi in maniera parossistica: pletore di professori, di
artisti, di ricercatori, di giornalisti e di esperti più o meno qualificati che
rinunziano allo scomodo ruolo di guardiani del potere, a nome e per conto del
popolo, e abbracciano la più remunerativa carriera di clientes privilegiati. Reincarnazione dei più sfrontati sofisti,
costoro usano le armi della dialettica non per cercare – nella misura del
possibile – la verità quanto per difendere gli interessi dei più potenti e dei
più ricchi, soprattutto di quanti sono potenti per ricchezza e ricchi per abuso
di potere.
E’ possibile una via d’uscita dall’impasse?
E’ ipotizzabile una sinergia fra intellettuali e politici che non approdi, fatalmente,
al martirio di alcuni o alla complicità di molti? Sino a quando
nell’immaginario collettivo si accetterà come ovvia e inevitabile una
partizione della società per corporazioni, non vedrei soluzioni. La
corporazione - o, se si
preferisce, il termine meno esatto di ‘casta’ che di per sé comporterebbe
l’appartenenza per diritto di nascita ed escluderebbe l’uscita e l’entrata di
membri particolarmente intraprendenti e sfacciati – degli intellettuali da una
parte; la corporazione dei politici di carriera dall’altra: attualmente si
tratta di segmenti della medesima fascia ‘alta’ della società, accomunati da
una tavola di valori e di interessi comuni (il consenso sociale, il successo,
l’ampia disponibilità di denaro, i privilegi relazionali rispetto alla gente
‘comune’…). Solo un contesto radicalmente rinnovato potrebbe consentire nuovi
rapporti: mi riferisco a una società in cui politica e cultura non siano più
monopolio di sedicenti specialisti bensì dimensioni, più o meno accentuate, di
ciascuna esistenza umana. Mi riferisco, in altre parole, a una società (futura,
ma possibile) in cui ogni cittadino e ogni cittadina vogliano, sappiano e
possano coltivare la propria valenza politica e la propria valenza
intellettuale, senza delegare né l’una né l’altra a ‘professionisti’ –
rispettivamente - della politica e della cultura. Antonio Gramsci scriveva che
ogni uomo è un intellettuale, anche se non ogni uomo si dedica principalmente
al lavoro intellettuale: la società che immagino (come intellettuale) e per la quale
lavoro (come soggetto politico) è una società in cui l’affermazione gramsciana
non solo diventi vera, ma possa essere anche parafrasata (ogni uomo è un
politico, anche se non ogni uomo si dedica principalmente al governo della
città). L’alleanza fra pensiero e azione potrà realizzarsi a livello
istituzionale solo se prima si sarà avviata nell’ambito delle esistenze
personali. Platone ha avuto una grande intuizione quando ha stabilito la
rinunzia al diritto di properietà privata dei beni materiali come condizione sine qua non per svolgere correttamente
il ruolo di intellettuale e il ruolo di governante; ma non ha capito che la
commistione fra filosofi e re provocherà pasticci, se non addirittura tragedie,
sino a quando riguarderà una sola ‘classe’ sociale, al di sopra delle teste e
delle vite delle classi ‘inferiori’ (militari e operai). Solo quando i
cittadini tutti attueranno almeno in minima parte le proprie potenzialità
intellettuali e politiche saranno in grado di accompagnare criticamente ogni tentativo
di sinergia fra cittadini prevalentemente intellettuali e cittadini
prevalentemente politici.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
2 commenti:
Considerazioni illuminate, che sottoscrivo.
Grazie,
Maria D'Asaro
Grazie Augusto
l'articolo è chiaro importante e stimolante per la riflessione. E poi direi che è un ottimo punto di partenza proprio per la tematica che affronteremo negli incontri di Noesis
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