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Augusto
Cavadi
PRESIDI DA BOCCIARE?
Di
Girolamo Editore, Trapani 2012
«di santa
ragione»
Pagine
131
€ 12,50
Ci
vorrebbe davvero «la creatività letteraria dei grandi romanzieri europei» (A.
Cavadi, p. 9) per raccontare l’inverosimile, il grottesco, il drammatico, il
perverso e il banalmente malvagio comportamento di gran parte dei presidi delle
scuole italiane. Questo libro tenta l’impresa. E, nella varietà delle sue voci,
ci riesce. Parlano anche due dirigenti scolastici. Uno raccontando della dura
vita da preside in un quartiere degradato di Palermo. L’altro tentando una
difesa in verità piuttosto debole, che tende a presentare i “Dirigenti
Scolastici” come vittime di «un sistema imperniato su di un plebeismo
pseudo-democratico, che tendenzialmente rifiuta una qualunque gerarchia anche
solamente di tipo organizzatorio» (G. Cavadi, 45), quando invece i presidi sono
stati investiti di una qualifica dirigenziale e “autonomistica” che ha fatto
perdere loro la testa nei deliri di onnipotenza che gli altri contributi
presenti in questo volume testimoniano ampiamente.
Riassumere
la patologia comportamentale di questi soggetti non è possibile, tanti e tali
sono i casi raccontati. Augusto Cavadi tenta comunque una tipologia che alle
grandi partizioni dei Presidi Don Chisciotte, Don Abbondio e Don Rodrigo
affianca gli esemplari “atipici” di Don Giovanni, Epulone, Georgico, Velista,
Censore, Indaffarato, Protettore, Cleante. Ai quali va aggiunta la “genia a
parte” dei vicepresidi. Se, infatti, i dirigenti sono capaci delle più
insensate e scorrette decisioni è perché trovano sempre docenti pronti a
sostenerli per le ragioni più diverse, nessuna delle quali è encomiabile.
«Colleghi solidali nei corridoi e impietriti nei collegi» (A. Cavadi, 25),
docenti incapaci o sprezzanti persino nel tenere in ordine un documento
ufficiale come il registro personale, insegnanti i quali bramano la «miserabile
benevolenza» che i presidi concedono «non ai docenti migliori e più
qualificati, che appaiono sempre troppo autonomi e pericolosi, in quanto non
controllabili, ma a chi sostiene l’aspirante despota nel proprio ruolo,
mostrando deferente sottomissione» (Generali, 101).
Questi
docenti e questi presidi condividono abissi di ignoranza e per questo anche di
malaffare: c’è chi non partecipa
alle attività culturali della scuola perché deve curare l’orto; chi ha in
orrore l’apprendimento della politica e della filosofia in quanto
corromperebbero le menti dei giovani; chi pur condannato al carcere per truffa
aggravata ai danni dello Stato continua imperterrito a occupare il proprio
posto con la passiva complicità del Ministero, poiché è un membro importante
della massoneria e «Commendatore del Sovrano Ordine Imperiale Bizantino di san
Costantino il Grande» (Mazzeo, 128).
Proprio
perché «una scuola malata è sintomo e concausa dell’agonia di una società» (A.
Cavadi, 42), non si può affermare che «nell’Italia del tempo presente» un
dirigente scolastico efficiente ed onesto «si guadagnerà solo post mortem
una causa di beatificazione» (G. Cavadi, 63). Nessuno, infatti, obbliga questi
soggetti a concorrere per un posto di preside. Piuttosto, esiste una proposta
positiva, costruttiva e praticabile: separare le funzioni amministrative e
manageriali da quelle didattiche, affidando le prime al Direttore dei Servizi
Generali ed Amministrativi -che è già presente in ogni scuola- e le seconde a docenti di provata preparazione
culturale e sensibilità umana, eletti -in mancanza di meglio- dai loro
colleghi. Sarebbe un passo in avanti verso la condizione auspicata da Dario
Generali: una scuola «caratterizzata dalla centralità culturale», nella quale
dirigenti e «insegnanti dovrebbero essere degli intellettuali» e «non dei
burocrati ignoranti, presuntuosi, arroganti e dispotici, per non dire di
peggio» (102).
Rispetto
alla situazione in cui è precipitata la scuola italiana, in mano per lo più a
«personaggi professionalmente discutibili e comunque non adatti a fornire un
servizio pubblico» (Felice Civitillo, cit. in Biuso, 92) la sostituzione di
tali dirigenti con docenti coordinatori dell’attività didattica e culturale
sarebbe positiva e auspicabile poiché «sembra davvero che un’istituzione
scolastica sia vivibile quasi solo quando il preside sia assente o distratto o
comunque ininfluente e gli insegnanti si assumano in prima persona la
responsabilità della sua gestione, della sua didattica e della sua ordinata
vita democratica» (123), come conclude con razionale efficacia Dario Generali.
È un
libro, questo, che costituisce una testimonianza civile e sociale di primaria
importanza se si ritiene che la scuola debba essere uno spazio di apprendimento
e di libertà.
Alberto Giovanni Biuso
2 commenti:
La recensione, che rimanda a leggi e situazioni conosciute od esperite, invoglia alla lettura del libro.
Voto per l'abolizione della figura del Preside anch'io.
Caro Augusto,
ho finito di leggere il tuo libro sui presidi; se non fosse per la levità di tono usato da te e dagli altri insegnanti che hanno collaborato alla sua stesura, direi che è un libro drammatico. Episodi incredibili, che sono anche il segno dei tempi. Pensandoci, mi sento amareggiato, da ex studente, da padre di ex studenti, ma soprattutto da semplice cittadino che crede molto nella scuola. In ogni caso è un libro magnifico, hai avuto un'idea straordinaria, credo unica nel panorama delle "denunce sociali".
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