“Repubblica – Palermo”
20 luglio
TRA MARIO MORI E LUCIA BORSELLINO: LE PAROLE NON
DETTE
Salgo sull’aereo per Roma delle ore 12 di giovedì 18 luglio.
Mi hanno assegnato il 9 A, proprio accanto al finestrino: ma sono felice di non
avere nessun compagno di viaggio nei due sedili alla mia destra. Al di là del
corridoio, invece, i posti della fila 9 sono occupati da tre signori che
viaggiano insieme: un giovane, un signore di mezza età e un signore più
anziano, tra i settanta e gli ottanta direi. Mi sembra di conoscerlo e neanche
inflessione e timbro della voce mi riescono nuovi. Sfoglia il giornale e si
sofferma sulla pagina dedicata all’imminente commemorazione della strage di via
D’Amelio: Borsellino fu davvero vittima della sua avversione a qualsiasi
trattativa fra Stato e Cosa nostra?
Nella fila davanti alla sua viaggia una
signora sola: siede sulla poltrona 8 D, ma anche lei, come me, ha a
disposizione l’intera terna di posti. E’ magra, vestita con sobria eleganza,
per le mani un quotidiano. Neanche lei è per me un volto ignoto. Osservo che si
sta soffermando sui servizi giornalistici riguardanti l’assoluzione di ieri del
generale Mori: nonostante gli indizi, che per la Procura di Palermo valevano
come prove, l’allora capo dei Ros non è responsabile di nessuna complicità con
i mafiosi, non ha mai favorito la latitanza di Provenzano né di alcun altro
boss.
Rifletto un po’, frugo nella memoria, mi
coglie un doppio flash: ma sì, il signore anziano che legge di
Borsellino è il generale Mori, la signora asciutta che legge di Mori è Lucia
Borsellino. Mi chiedo se l’uno abbia riconosciuto l’altra, se l’altra l’uno. Mi
chiedo se, forte dell’assoluzione in primo grado, Mori vorrebbe dire alla
Borsellino, nel caso la riconoscesse: “Comunque, sappia che per suo padre mi
sono addolorato molto. La sua ferita è, in piccola parte, la mia: come uomo e
come servitore della Repubblica”. E mi chiedo se la Borsellino, a sua volta,
vorrebbe dire a Mori, qualora capisse chi è: “Sono contenta della sua innocenza
giudiziaria. Ma adesso una mano ce la dà a noi familiari, a questa Sicilia,
all’intero Paese, per sapere come sono andate davvero le cose? Abbiamo
sofferto, già da prima del 19 luglio 1992, tutto ciò che si può soffrire. Non
abbiamo diritto, a titolo di risarcimento parziale, alla verità sugli assassini
di mio padre? ”. Ma sono domande interiori che mi pongo ad alcune migliaia di
metri dalla terra, addirittura al di sopra delle nuvole. Tra quindici minuti
atterreremo a Fiumicino. Mori andrà per la sua strada, la Borsellino pure. Non
si diranno una parola, forse non si scambieranno neppure uno sguardo. Al
passeggero che casualmente ha condiviso lo stesso volo non resta che l’amarezza
della storia: Palermo è anche questo, l’Italia è anche questa.
Augusto Cavadi
1 commento:
Scena tragica: “Al passeggero che casualmente ha condiviso lo stesso volo non resta che l’amarezza della storia”. Fuor di metafora: al cittadino consapevole, che con queste persone condivide lo stesso momento storico e gli stessi luoghi, non resta che guardare. Vedere coesistenti due facce della stessa medaglia: persone come Mori, Contrada, La Barbera, e tanti altri operatori nell’ombra, che si proclamano “servitori dello Stato” e che, a detta di loro, hanno lavorato nell’interesse della collettività, per la “ragion di Stato”, da una parte; e persone come Lucia Borsellino, come tante altre vittime di quelle logiche, costrette ad elaborare i propri lutti e a trovare disperatamente un senso agli eventi tragici che li hanno coinvolti, portate ad assumere pubblicamente l’impegno a combattere quelle logiche, a tentare di svelarne le macchinazioni e di impedire che vengano ripetute.
Tragica scena nella quale è presente un terzo, un’altra persona come il passeggero, inerme ma non imbelle, che, come tutti gli altri contemporanei, passeggeri anch’essi, consapevolmente condividono lo stesso momento storico e gli stessi luoghi, e le insopportabili conseguenze di quelle logiche. Testimoni e vittime anch’essi del sistema, prigionieri di una situazione più grande di loro. Anch’essi parte lesa, ma non riconosciuta né tutelata.
Tre “verità”, tre condizioni di vita, tre stati mentali a confronto, inconciliabili, non dialoganti.
E sulle loro teste un’altra “verità”, l’unica vera, quella storica, inesorabile, incomprensibile del tutto ai contemporanei e, chissà, forse anche ai posteri. L’“unica verità”, nascosta dagli uni, agognata dagli altri, Verità senza la quale non ci può essere giustizia né pace.
E l’aereo (la storia) prosegue il suo viaggio, pilotato dalla mano di altre persone sedute nella cabina di guida, dietro porte chiuse, seguendo la rotta che altri hanno deciso. Una rotta, in questo caso, che collega i destini di due città emblematiche: Palermo e Roma. La Sicilia e l’Italia.
Palermo, 20 luglio 2013
Sandro Riotta
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