“Riforma”
5.7.2013
METASTASI DIFFUSE
C’era
una volta un tempo in cui la mafia faceva esplodere le bombe contro nemici
dentro e fuori Cosa nostra. Quel
tempo estesosi per decenni, dagli anni Sessanta agli anni Novanta del secolo
scorso, adesso pare concluso. Per due ragioni: una buona e l’altra meno buona.
La ragione consolante è che la struttura militare di Cosa nostra è in difficoltà come non mai nel secolo e mezzo
della sua storia: quasi tutti i
capi di due, o tre, generazioni successive stanno marcendo in carcere. La
ragione meno confortante è che la mafia residua non ha molti motivi per cercare
lo scontro aperto con le istituzioni: si è infiltrata abbastanza dentro i
gangli che contano. Tra i suoi adepti politici e banchieri, avvocati e medici,
imprenditori e professori: e, quando non le bastano, può contattarli e
contrattare da pari a pari.
Una delle prime esplosioni mafiose avvenne nel 1963 a Ciaculli,
quartiere periferico di Palermo: sette morti fra le forze dell’ordine. Il
pastore Pietro Valdo Panascia fa stampare e affiggere un Manifesto (“Iniziativa per il rispetto della vita umana”) per le
vie della città in cui si appella, a nome della chiesa
valdese, “a quanti hanno la responsabilità della vita civile e religiosa del
nostro popolo, onde siano prese delle opportune iniziative per prevenire ogni
forma di delitto, adoperandosi con ogni mezzo alla formazione di una più
elevata coscienza morale e cristiana, richiamando tutti ad un più alto senso di
sacro rispetto della vita e alla osservanza della Legge di Dio che ordina di
non uccidere”. L’appello cade nel vuoto. Come viene raccontato nel prezioso Vivere il vangelo in minoranza. Breve storia
dei Valdesi a Palermo (Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2005) di Renato
Salvaggio, lo raccoglie solo, dalla lontana Roma, la Segreteria di Stato
vaticana che scrive all’arcivescovo di Palermo per segnalare l’iniziativa della
comunità valdese e per suggerire “un’azione positiva e sistematica per
dissociare la mentalità della così detta ‘mafia’ da quella religiosa”, ma il
cardinale Ernesto Ruffini risponde quasi piccato: “Mi sorprende alquanto che si
possa supporre che la mentalità della così detta mafia sia associata a quella
religiosa”. Il modo in cui la chiesa cattolica si dedica all’educazione morale
dei cittadini “non è eccezionale,
come l’intervento del Pastore Pier Valdo Panascia, ma continuo”. Il presule
morirà troppo presto per poter misurare per intero gli effetti positivi
dell’azione pastorale dei suoi preti: la serie di politici e amministratori
sedicenti cattolici di indubbia complicità criminale si snoderà per decenni (da
Lima e Ciancimino sino a Cuffaro, tutt’ora in galera per favoreggiamento dei
più pericolosi boss mafiosi in
circolazione sino a qualche anno fa ).
Il 5 luglio, a celebrare il cinquantesimo anniversario del “Manifesto”
valdese, si terrà un convegno pomeridiano presso il Centro diaconale valdese di
Palermo (uno dei frutti più
eloquenti e duraturi dell’impegno pastorale, non certo episodico, di Panascia)
con la partecipazione, fra gli altri, del Moderatore della Tavola Eugenio
Bernardini. Una partecipazione significativa intanto per le chiese siciliane
che rischiano di assuefarsi al dominio mafioso come ci si abitua alla pioggia
invernale e all’afa estiva: un fenomeno così complesso e così capace di
trasformazioni camaleontiche esige un’attenzione, un’analisi e una
progettualità strategica sempre rinnovate. La tentazione di non studiare, di
non confrontarsi con altre realtà extra-ecclesiali impegnate sul fronte
antimafioso, è forte: ma significherebbe abdicare a una responsabilità storica
ineludibile. Essere lievito evangelico in un contesto sociale segnato dalla
viltà dell’equidistanza fra mafia e Stato democratico significa uscire dal
limbo e prendere, pubblicamente, posizione.
La partecipazione del Moderatore è, poi, significativa per ricordare a
tutte le chiese italiane che la mafia è sì radicata nel Meridione, ma non ad
esso circoscritta. Come tutti i tumori, ha prodotto le sue metastasi. Dal
Piemonte alla riviera romagnola, dalla Lombardia alla riviera ligure, persino
fra i cantieri edili degli Abruzzi eretti per ricostruire città note per la
laboriosità e la correttezza etica dei suoi abitanti, le cosche mafiose
meridionali - in combutta con le
nuove mafie importate dall’Est e dall’Africa – sono riuscite a tessere
relazioni affaristiche, accordi
elettorali, strategie intimidatorie. Contrastare questo cancro della convivenza
democratica è certamente un dovere civile, ma per chi osa dirsi seguace del
vangelo di Gesù è anche risposta a una vocazione e testimonianza di una fede
incarnata nelle strade dell’umanità.
Augusto Cavadi
3 commenti:
Ottime riflessioni. Grazie.
Maria D'Asaro
Bellissimo l'articolo su "Riforma" !
Caro Augusto,
sull'ultimo numero del settimanale "Riforma"
è contenuto in prima pagina il tuo splendido articolo.
Ti ringrazio e te ne sono profondamente grato.
Ti abbraccio,
Giovanni Panascia
Posta un commento