“Centonove”
22.3.2013
LE PAROLE PER DIRE LA BIOETICA
Sempre più spesso parole come
“accanimento terapeutico”, “screening
genetico” “ogm”, “Fivet”…circolano nei discorsi pubblici e nelle conversazioni
private. A forza di sentirle ripetere ci illudiamo di conoscerne il significato
e raramente ci preoccupiamo di verificare la corrispondenza fra ciò che abbiano
in mente e ciò che intendono gli altri. Una volta mia madre, più che
ottantenne, mi ha fatto ridere di cuore proclamando tutto il suo sconcerto per
la moltiplicazione di tanti “uomosessuali” nella società contemporanea; ma,
qualche tempo dopo, anche un prete, più colto della media dei suoi colleghi, mi
spiegava di sentirsi solidale
verso le persone omosessuali e lesbiche: capii, dal seguito della
chiacchierata, che aveva aggiunto “lesbiche” perché anche per lui - molto più
istruito di mia madre - “omo” stava per ”uomini” e non per “simile”. Senza contare fraintendimenti meno divertenti
come l’identificazione semantica di “eutanasia” e “sterminio dei malati”. Con
questo livello di preparazione, tremo ogni volta che i politici si avventurano
in dibattiti bioetica: sia che assumano decisioni accontentandosi della propria
incompetenza sia che, populisiticamente, si appellino a metodi referendari per
misurare le opinioni dei cittadini. Da oggi, però, nessuna ignoranza è più
giustificabile perché con solo 38 euro (e molto meno se, al posto della
edizione cartacea, si sceglie la versione in pdf) la pionieristia casa editrice
“Villaggio Maori” di Catania ha messo a disposizione di un vasto pubblico il “Dizionario
di bioetica” a cura di Gaetano Vittone (coadiuvato, nella stesura di
circa trecento voci per un totale di 470 pagine, da trenta studiosi di
estrazione disciplinare e di orientamento culturale differenti).
Da un’opera di questa mole non
si può pretendere nessuna omogeneità di stile (e forse non sarebbe neppure
auspicabile): così il lettore coglie senza fatica la matrice scientifica di
autori responsabili di voci mediche (come anencefalia)
e la matrice umanistica di autori che hanno redatto, invece, voci filosofiche
(come angoscia o solitudine). Il pluralismo non si limita alla diversità delle
prospettive di studio, ma si evince anche dal registro linguistico delle voci:
alcune delle quali hanno un carattere più asciutto e asettico (come ad esempio consenso informato), altre un timbro meno tecnico e più discorsivo
(come nel caso di corpo/corporeità).
Nel complesso si può riconoscere che
il prezioso sussidio (più affidabile certamente di motori di ricerca sul web
che rintracciano, senza discriminare, testi autorevoli e pagine inaffidabili)
abbia raggiunto l’obiettivo ribadito nella Prefazione
dal curatore: offrire le strumentazioni di base per chiunque voglia
accostarsi, per curiosità o per mestiere, ai temi della bioetica che ormai, ben
oltre gli angusti confini di una disciplina fra tante, è diventata la
“coscienza critica della civiltà tecnologica”. Come avverte lo stesso Vittone,
un dizionario del genere non può che restare aperto, come e più di ogni
dizionario, all’aggiornamento e all’integrazione, se vuole essere e
mantenersi “specchio fedele dei
mutamenti significativi che avverranno nel corso degli anni”. Personalmente
vedrei con particolare urgenza l’aggiunta di voci che ho cercato invano come
“adulterio”, “pedofilia”, “poliandria”, “poligamia”, “prostituzione”, se
necessario al posto di altre voci, attualmente presenti, come “fuga” o “umiltà”, che
riterrei meno necessarie in un’opera dedicata alla bioetica.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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