“REPUBBLICA – PALERMO” 26.3.2013
LA GUERRA GIUSTA DEL SOLDATO ROSARIO
Ad evitare fraintendimenti premetto che non sono stato un elettore di
Crocetta. Lo conosco, non bene, da anni e ogni volta che l’ho osservato
all’opera mi hanno colpito la gentilezza e la delicatezza del tratto, ma
altrettanto un’inclinazione all’eccesso, alla tracimazione, tipica di molti
intellettuali meridionali di provincia. Le perplessità nei confronti del suo
stile tendenzialmente barocco non sono state certo attenuate dalla schiera di
sostenitori e di sponsor, tra i
quali - come nella variopinta
fauna del PD siciliano – c’era, e c’ è,
di tutto.
Le notizie di questi giorni mi inducono, per onestà intellettuale, a
modificare il giudizio. Il presidente della Regione aveva promesso una
rivoluzione (e in questo non era né il primo né il solo): ma adesso pare
proprio che la stia iniziando a realizzare. E con queste prime decisioni sta
offrendo non solo alla sua lista, ma anche ai grillini la preziosa possibilità
di una verifica sul campo. Se per crisi delle ideologie si intende che i
governi nazionali e locali fanno bene a navigare a vista, senza un progetto di
lungo periodo, non vedrei nulla di cui rallegrarsi: pragmatismo e trasformismo
sono malattie antiche destinate a perpetuarsi. C’è però un modo di
relativizzare il primato dei proclami ideologici che trovo accettabile, anzi
auspicabile, e ‘moderno’ nel senso
più positivo dell’aggettivo: imparare a valutare i politici in base alle
decisioni effettive che assumono; liberarsi dai pre-giudizi a priori trasformandoli in post-giudizi a posteriori. Una parabola evangelica ci
raccomanda già due millenni di preferire, tra due fratelli, non chi si dichiara
immediatamente disponibile ad andare a zappare e resta a casa, ma chi fa le
bizze a parole e poi, nei fatti, va a lavorare.
Certo è troppo presto per cantare le
lodi del soldato Rosario, ma c’è un motivo che – a mio avviso – dovrebbe
convincere trasversalmente molti siciliani a sostenerlo, ovviamente con riserva
di mutare opinione e posizione: la formazione di uno schieramento, altrettanto
trasversale, di oppositori alle sue proposte legislative e ai suoi atti
amministrativi. Intendiamoci: non si può escludere che, in un caso o in un
altro, qualche decisione possa risultare oggettivamente sbagliata o, per lo
meno, migliorabile. Sarebbe strano il contrario: chi mangia, secondo la
saggezza popolare, fa molliche. Ma una cosa è criticare, nel merito, con argomenti precisi, un
determinato provvedimento e un’altra cosa è attaccare il metodo nel suo complesso, solo perché non siamo abituati ai colpi
di spugna e, tomasidilampedusianamente, siamo convinti di non dover mutare
radicalmente nulla perché siamo già, in sostanza, perfetti. Tra quanti alzano
la voce con più insistenza contro la rivoluzione crocettiana ci sono veterani
dell’immobilismo, lord protettori di
atavici privilegi, abilissimi retori in grado di sventolare le bandiere più
democratiche per coprire interessi oligarchici. Oserei dire che quanti
attaccano la giunta regionale in nome dei diritti dei lavoratori sono due volte
più pericolosi di quei pochi che, almeno, hanno la sfacciataggine di non
nascondere nomi e cognomi dei mandanti a servizio dei quali si agitano.
Con tutti i limiti rilevabili adesso, o in futuro, Crocetta è tra i
pochi politici di lungo corso (sindaco di Gela, eurodeputato, presidente di
giunta regionale) che ha capito la serietà della fase storica: non è in gioco
il futuro di partiti più o meno vetusti, ma della stessa democrazia. Se non si
azzera l’abisso fra paese legale e paese reale, la farsa già tanto amara di queste settimane può
capovolgersi in tragedia: chi ci garantisce che la paralisi delle istituzioni –
che potrebbe presentare persino
aspetti vantaggiosi (pare che in Belgio, da un anno con un governo in prorogatio, le cose vadano meglio di
prima) - non sarà interrotta dalla
scossa traumatica di un golpe autoritario? Se l’ipotesi, per quanto remota, non
è da escludere, la via d’uscita di Crocetta dall’attuale disaffezione pubblica
nei confronti delle istituzioni democratiche potrebbe disturbare le
organizzazioni reazionarie diffuse, senza neppure troppi segreti, nel
territorio nazionale. E la vicenda del suo predecessore Piersanti Mattarella ci
insegna quanto facilmente le cosche mafiose si prestino, soprattutto in
Sicilia, a stringere patti
scellerati con le entità più
oscure.
Augusto Cavadi