Pubblico un mio intervento ospitato oggi dall'edizione siciiana di "Repubblica".
In neretto la parte che, suppongo per ragioni di spazio, è stata tagliata dalla redazione.
“Repubblica – Palermo”
7.2.2013
SE IL SECESSIONISMO LEGHISTA TROVA SEGUACI IN SICILIA
Quando conclusi la presentazione di un mio libro sulla mafia a Torre dei Roveri, in quel di Bergamo, un signore intervenne al dibattito con tono di voce sommesso ma deciso: “La differenza tra Lega e Cosa nostra dove starebbe? Entrambe sono organizzazioni gerarchiche che mirano ad accrescere il profitto e il controllo del territorio mediante la propaganda del proprio codice culturale e la minaccia del ricorso alla violenza”. Obiettai che, sino ad oggi, la minaccia del ricorso alla violenza , a differenza dei mafiosi, è rimasta una minaccia. Mi replicò che il confine fra la violenza verbale e la violenza materiale è stato sempre labile. Se all’epoca fossero già emersi i legami fra amministratori della Lega e faccendieri dela ‘ndrangheta sarei stato più propenso a dare ragione all’occasionale interlocutore.
La notizia del sindaco siciliano che si candida, insieme a molti familiari, nelle liste della Lega Nord mi ha richiamato alla memoria quell’episodio. Molto probabilmente è solo una scelta tattica di opportunismo elettorale e vedervi una portata ideologica al punto da dimettersi, come hanno fatto ad Alimena consiglieri e persino assessori comunali, significa conferirgli uno spessore di cui è priva ; ma, se davvero fosse una decisione dettata da affinità culturali fra il profondo Sud e il profondo Nord, ci sarebbe davvero da stupirsene? Direi di no. Con tutte le differenze del caso, Cosa nostra e Lega Nord provengono da un humus storico-sociale non dissimile: rispetto a Roma, allo Stato unitario centrale, hanno vissuto l’ambiguità del rapporto di subordinazione reverenziale e vittimismo invidioso. Non è un caso che le tentazioni separatiste, differite in Settentrione dall’eroica stagione partigiana, si sono configurate in maniera significativamente speculare: il leghismo ha copiato il secessionismo siciliano che, nel tempo di Pino Aprile e di Raffaele Lombardo, ha ricopiato la sua copia. Si può riconoscere qualcosa di più che un’acrobazia politica nel capitombolo che ha condotto il fondatore dell’MPA, dopo anni di strepiti contro il governo nazionale di centro-destra, a riallerasi con Berlusconi e con la Lega di Bossi e di Maroni. Né è un caso - su questo ho insistito nel mio ultimo libro Il Dio dei leghisti - che il leghismo sia nato in ambienti tradizionalmente cattolici, orfani della Democrazia cristiana, e abbia trovato pronta ospitalità in molte parrocchie: come le organizzazioni mafiose, infatti, anch’esso si radica e prospera in contesti sociali in cui dal 1861 si è diffuso il “cattolicesimo municipale” (come lo definisce nei suoi studi don Francesco Michele Stabile) che riduce la religione a fattore di identità locale e guarda allo Stato laico come al nemico dello Stato pontificio e, in generale, come al vettore di pericolose ideologie ‘moderniste’.
Contro queste derive che stravolgono le istanze federaliste (nate nel Risorgimento per unire ciò che era diviso, ripescate dopo un secolo e mezzo per dividere ciò che è unito) non ci sono scorciatoie: i partiti che hanno prospettive e interessi nazionali devono decifrare i sintomi del malessere e dimostrare, con i fatti, che l’Italia conviene. Anzi, che è ancora piccola cosa rispetto all’Europa e rispetto al pianeta. Sino a oggi questi fatti non si sono visti: i partiti non si rassegnano a rinunziare ai vantaggi della partitocrazia (gira e rigira, il Porcellum è sempre in vigore); non si decidono a operare il recupero delle fasce più ferite dalla crisi economica pur di tenersi buone le minoranze facoltose e influenti; non si attivano (è il meno che si possa dire!) per chiarire i patti segreti con la criminalità organizzata che ha sterminato i cittadini migliori; proseguono le politiche bellicistiche che, in barba alla stessa Costituzione italiana, hanno indotto governi di destra, di centro e di sinistra a spese militari ingenti e a operazioni di “polizia internazionale” quantomeno opinabili. Se il Parlamento prossimo venturo non avrà una composizione davvero innovativa e le cose persevereranno con il passo attuale - e nella direzione attuale – ci aspettano ancora molti anni di fatica per distinguere la legittima voglia di un’altra politica dalle ambizioni degli anti-politici di carriera.
Augusto Cavadi
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