“Repubblica – Palermo”
14.2.2013
L’ANGELO CHE LIBERA LE SCHIAVE
Quando la sera capita di passare dalle zone portuali delle principali città siciliane è difficile non vedere delle ragazze africane in affitto. In quei pochi minuti il pensiero va, molto confusamente, a un mondo intessuto di miseria materiale e morale, ma talmente estraneo da percepirlo parallelo. Arriviamo, forse, a chiederci quanto debba essere dura la vita nei loro paesi d’origine se questa, da noi, la trovano preferibile… Ma intanto la nostra auto è sfrecciata oltre e, con un’alzata di spalle metaforica, ci rassicuriamo psicologicamente: appartengono a un giro tanto complicato che nessuno di noi può farci nulla per intervenire.
Ma è davvero così? Da più di un quindicennio, ormai, la testardaggine di un predicatore metodista nigeriano, Vivian Wiloku, sostenuto da palermitani di varia estrazione sociale e religiosa, porta avanti un’associazione onlus – “Pellegrino della terra” (www.pellegrinodellaterra.it) - che ha scelto proprio questo spinoso settore come obiettivo specifico della sua mission. Grazie a questa organizzazione, cui è possibile iscriversi con una quota annuale irrisoria, ciò che a ciascuno individualmente è precluso diventa, in una logica di gruppo, praticabile: si può, insomma, dare una mano per recuperare le ragazze che non vogliono restare intrappolate e non di rado stritolate nel meccanismo.
Già, perché il primo passo è conoscere come stanno le cose, al di là dei luoghi comuni maschilisti e delle ipotesi più o meno fantasiose: la stragrande maggioranza di queste donne non ha operato una scelta fra la vita in Africa e questo tipo di vita in Europa. Esse sono invece vittime di un vero e proprio sistema di sfruttamento: vengono adescate nei loro villaggi con la promessa di un lavoro onesto ma, una volta sbarcate in Italia, le si priva del passaporto. A quel punto resta una sola via: accettare di prostituirsi sino a raccogliere i 50.000 euro necessari al riscatto. Diversamente, non solo non si riottengono i documenti di riconoscimento, ma si espongono le famiglie originarie a minacce sia simboliche (riti wudù) sia materiali. Ecco perché “Il pellegrino della terra” si occupa di prevenire questi processi di schiavizzazione già con campagne informative in Nigeria affinché le giovani, spesso minorenni, non si lascino ingannare da promesse illusorie. Altrettanto importante, sempre sul piano dell’informazione e della mentalità, far capire ai maschi italiani quali piaghe fisiche e psichiche sono state già inferte a quei corpi che essi ricercano con atteggiamento di falsa superiorità (se davvero valessero tanto, non sarebbero costretti a mendicare sesso da sconosciute) e, per giunta, di irresponsabile superficialità (alimentano, senza averne coscienza, una vera e propria industria che arricchisce protettori e maman).
Ma l’associazione guidata da Vivian Wiloku, e ospitata in un locale sequestrato alla mafia, non si limita al pur necessario piano culturale della prevenzione. Essa accompagna le prostitute che ne facciano richiesta sia nella fase di cattività (mi ha commosso apprendere che alcune si raccolgono in preghiera prima di andare sulla strada per chiedere, con le parole del salmista biblico, la protezione divina dagli “spaventi della notte” e dalle “insidie di morte”) sia nella fase di emancipazione: inserendole in istituti riabilitativi appositi (in cui, anche grazie a borse-lavoro, imparano la lingua italiana e un mestiere che le renda autonome), aiutandole a trovare un lavoro o a tornare in patria, in alcuni casi assistendole nelle pratiche matrimoniali con cittadini italiani che se ne sono innamorati. Quanto efficace risulti questo lavoro di consulenza e di accompagnamento lo testimoniano le continue minacce e le brutte intimidazioni che, anche in queste settimane, ha ricevuto il direttore del Centro. Duecentocinquantuno donne restituite alla dignità e alla libertà non sono molte, ma neppure poche: soprattutto perché ciascuna diventa, a sua volta, un segno concreto di speranza per il futuro.
Augusto Cavadi
1 commento:
Questo è giornalismo che serve, giornalismo "di servizio". Col tuo permesso, domani ripubblico l'articolo nel mio blog.
Grazie.
Maria D'Asaro
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