“Centonove”, 18.1.2013
PER FAVORE NON CELEBRATE NESSUNA SHOAH
Un modo per celebrare la giornata mondiale della memoria (27 gennaio) cercando di andare un po’ oltre le parole di circostanza, che ormai non trovano lo spiraglio per entrare nei nostri animi, è forse cercare di capire perché - in pieno XX secolo – si sono potuti verificare stermini sistematici di massa come la persecuzione nazista degli Ebrei. Che è anche un modo per cercare di prevenirne la replica in futuro.
Già, perché la primissima notazione è che il genocidio degli Ebrei non è stato un fungo velenoso in un’area verdeggiante e salubre. Prima, durante e dopo (con motivazioni simili quando non identiche) la storia ha registrato orrori analoghi: dagli Armeni ad opera dei Turchi sino ai Bosniaci ad opera dei Serbi. Senza contare che cosa è successo, per decenni, nei gulag sovietici dove sono state macerate vittime di persecuzioni non solo etniche, ma anche politiche, sociali e religiose. Con il sottolineare che i campi di concentramento e di sterminio nazisti non costituiscono un’eccezione, bensì una delle tante punte emergenti di altrettanti iceberg, non s’intende sminuire la gravità del fenomeno: si vuole piuttosto notare che, proprio perché è stato un fenomeno di pesantezza insopportabile, non ci si può accontentare di avere abbattuto l’albero senza strapparne le radici.
Una seconda notazione riguarda l’aspetto linguistico: perché non ho usato il vocabolo Shoah che solitamente viene reso in italiano con Olocausto? Perché sono d’accordo con quegli intellettuali ebrei che trovano di pessimo gusto l’uso di un termine teologico-religioso a proposito di un evento in sé insensato, inumano. Chi vi ricorre, finisce - sia pure del tutto inconsapevolmente – con il conferire un qualche significato a ciò che è successo: quasi che lo sterminio degli Ebrei, assurdo dal punto di vista degli uomini, potesse avere un valore purificatorio e redentore agli occhi di Dio. Nessun “olocausto”, nessun “sacrificio”, dunque: ciò che è accaduto non è stato né voluto né accettato da nessun dio.
Ma – e siamo ad una terza notazione – come è potuto accadere? Sarebbe da sciocchi pretendere di analizzare tutte le cause di un evento storico, specie quando si tratta, come in questo caso, di un evento di proporzioni impressionanti. Si possono solo richiamare alcuni segmenti.
Un primo ordine di cause lo rintraccerei nella storia culturale della Germania. Qui abbiamo assistito ad un secolare fenomeno (non del tutto estraneo ad altre aree geo-culturali europee) di criminalizzazione del popolo ebreo. Personalità geniali, che nel loro campo hanno compiuto vere e proprie rivoluzioni, come Martin Lutero nel Cinquecento e Karl Marx nell’Ottocento, hanno lasciato pagine ingiuste e calunniose contro gli Ebrei. L’anti-ebraismo, che è già abbastanza orribile, ha conosciuto proprio nell’Ottocento un’ulteriore degenerazione diventando anti-semitismo: da ostilità contro un popolo per ragioni culturali si è passati all’ostilità per ragioni razziali. A parte l’infondatezza scientifica della nozione di razza, poco o niente è valso obiettare che, dopo duemila anni di diaspora nel pianeta, gli ebrei avevano mischiato con i popoli più diversi i propri caratteri ereditari: ebrei in Africa o in Asia avevano anche esteriormente aspetto diverso dei correligionari in Europa o in America. Dall’anti-ebraismo all’anti-semitismo, dunque: e, come se ciò non bastasse, nel XX secolo è andato maturando l’anti-sionismo, cioè l’avversione al progetto politico di associazioni ebraiche intenzionate a ritrovare un luogo fisico, una patria geografica, per tutti i correligionari che avessero voluto ritornare a Sion (o la Sion originaria, l’attuale Stato d’Israele, o un altro fazzoletto di terra sul pianeta). Una miscela confusa, ma esplosiva, di motivi di ostilità verso un popolo né migliore né peggiore della media dell’umanità: ecco il terreno da cui si è sviluppata la strategia di annientamento degli Ebrei ad opera dei nazisti!
E’ lecito chiedersi se tale strategia di vertice avrebbe trovato così ampia e capillare attuazione qualora il sistema educativo dei Tedeschi della prima metà del XX secolo fosse stato differente. Migliaia di cittadini esemplari dal punto di vista della morale individuale e familiare, oltre che dell’etica pubblica, hanno partecipato senza battere ciglio (tranne rarissime eccezioni) a una macelleria sistematica le cui vittime innocenti non avevano offerto il minimo motivo di rancore né di rivalsa. Qui forse possono soccorrere le considerazioni di un’Alice Miller sugli effetti disastrosi della “pedagogia nera”: dell’educazione al conformismo, all’obbedienza cieca, all’imitazione acritica. Si attribuisce alla compianta Mariangela Melato l’avvertenza di evitare gli individui che non hanno personalità o che ne hanno più di una: probabilmente sono proprio quanti non ne hanno una che ne assumono tante.
Già questa sin troppo scarna analisi suggerisce, per contrasto, alcune linee operative per il presente. Innanzitutto l’asse della conoscenza vera: le falsità teoriche partoriscono, prima o poi, mostri pratici. La Chiesa cattolica, per secoli, precisamente sino alla riforma liturgica voluta da papa Giovanni XXIII a metà del XX secolo, ha insegnato a generazioni di fedeli – anche in Germania – a pregare il Venerdì santo per la conversione degli Ebrei, “popolo deicida”! Quale punizione sarebbe abbastanza proporzionata per una popolazione che, in solido !, ha ucciso Dio fattosi uomo?
Ma la verità cognitiva, necessaria, non basta. Ci sono tanti orrori contemporanei che non condividiamo e rispetto ai quali, tuttavia, non troviamo di meglio che fare spallucce. Se non rischiassi di aprire una parentesi troppo lunga, accennerei – per esemplificare – ai metodi attuali di allevamento e di uccisione degli animali domestici di cui ci cibiamo: è privo di significato, sinistramente illuminante, che i campi di sterminio nazisti fuorono realizzati sul modello dei macelli di carne animale degli Stati Uniti d’America? Può darsi che, anche grazie a libri come Se niente importa di Jonathan Safran Foer, tra qualche decennio, o tra qualche secolo, si capirà che trattare gli animali come li trattiamo adesso nei nostri mattatoi non è “normale”, proprio come non era “normale” trattare i nostri fratelli Ebrei come sono stati trattati ad Auschwitz o a Dachau? Ma lasciamo da parte la questione degli altri animali. Limitandoci agli animali dell’unica razza umana a cui apparteniamo, quanti di loro in questi stessi anni stanno subendo violenze inaudite e sistematiche nel silenzio complice delle istituzioni nazionali e internazionali? Proprio i Palestinesi, che per venti secoli hanno continuato ad abitare la terra su cui dopo la Seconda guerra mondiale sono tornati gli Ebrei per fondare lo Stato d’Israele, stanno patendo sofferenze di ogni genere: anche le loro ragioni vanno valutate, senza identificare la causa sacrosanta della difesa dell’ebraismo con la causa, opinabile, della difesa della politica israeliana. Oltre che i Palestinesi, decine di popoli e di categorie sociali sono oggi oggetto di discriminazione e di persecuzione. Ogni volta che siamo tentati di ignorare le loro tragedie, faremmo bene a rileggere le parole che vengono attribuite a più d’un autore tedesco coevo del nazismo: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare”.
Augusto Cavadi
2 commenti:
Considerazioni impeccabili. Tanto da chiederti l'autorizzazione di "postarle", il 27 gennaio prossimo, nel mio blog. Buona serata.
Maria D'Asaro
«Se noi, in quanto ebrei, possiamo ricavare qualche insegnamento politico da questi tristi tempi, questo è il fatto che il destino ci ha uniti insieme, un fatto che in tempi di pace e di sicurezza dimentichiamo davvero tanto facilmente e volentieri. Siamo abituati a porre un accento troppo forte sulle differenze che dividono gli ebrei di paesi diversi e di diverse vedute religiose. Spesso dimentichiamo che è dovere di ogni ebreo intervenire quando e ovunque un altro ebreo viene odiato e trattato ingiustamente, quando politici della coscienza flessibile mettono in moto contro di noi i vecchi pregiudizi, inizialmente religiosi, al fine di tessere trame politiche a nostre spese. Ciò riguarda ciascuno di noi, perché tali malattie e tali disturbi psicopatici dell’animo popolare non vengono arrestati dagli oceani e dai confini nazionali, ma si diffondono esattamente come delle crisi economiche o delle epidemie.» (frase attribuita a Albert Einstein e riportata nel sito http://giusy-ilsaperediluigi.blogspot.it/2011/07/gli-ebrei-non-dimentichiamo-albert.html).
Fuori dalle definizioni, dalle classificazioni, dalle distinzioni, dai distinguo di qualsiasi tipo, posta al di fuori anche da qualsiasi contesto storico, questa frase potrebbe acquistare ben altro significato e valenza universale se le parole “ebreo” e “ebrei” venissero sostituite dalle parole “uomo” e “uomini”.
«Se noi, in quanto UOMINI, possiamo ricavare qualche insegnamento politico da questi tristi tempi, questo è il fatto che il destino ci ha uniti insieme, un fatto che in tempi di pace e di sicurezza dimentichiamo davvero tanto facilmente e volentieri. Siamo abituati a porre un accento troppo forte sulle differenze che dividono gli UOMINI di paesi diversi e di diverse vedute religiose. Spesso dimentichiamo che è dovere di ogni UOMO intervenire quando e ovunque un altro UOMO viene odiato e trattato ingiustamente, quando politici della coscienza flessibile mettono in moto contro di noi i vecchi pregiudizi, inizialmente religiosi, al fine di tessere trame politiche a nostre spese. Ciò riguarda ciascuno di noi [UOMINI], perché tali malattie e tali disturbi psicopatici dell’animo popolare non vengono arrestati dagli oceani e dai confini nazionali, ma si diffondono esattamente come delle crisi economiche o delle epidemie.»
Palermo, 20 gennaio 2013
Sandro Riotta
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