Invitato, cortesemente, dalla redazione del quotidiano on line www.mezzocielo.it (la stessa che cura il trimestrale cartaceo “Mezzocielo”) ad esprimere un parere sulla recente polemica, ho inviato l’intervento che riproduco.
“Mezzocielo.it”
Quotidiano di cultura, politica e ambiente pensato e realizzato da donne.
27.12.2012
Il parroco, le donne e il cattolicesimo sessuofobico
Lo dico subito, anche a costo di impopolarità: don Piero Corsi, il parroco di San Terenzo a Lerici (La Spezia) autore del volantino su “Le donne e il femminicidio”, è una vittima e solo conseguentemente un colpevole. Vittima di una cultura maschilista, sessuofobica, castrante che domina in Europa dal XVII secolo ad oggi. A me fa molta più pena che rabbia. Quanto deve essere infelice, represso, un uomo per dire che le donne devono fare “autocritica” davanti al “fenomeno che i soliti tromboni di giornali e tv chiamano appunto femminicidio” ? Chi ha frequentato ambienti clericali avrà sentito, almeno una volta, raccomandarsi di non guardare direttamente una donna negli occhi “per evitare che Satana possa entrare nell’anima”. E infatti un prozio prete di Niscemi non ha mai più fissato nel volto mia madre - sua nipote – una volta compiuti i 14 anni. Ciò premesso, la gravità oggettiva dell’evento non muta di un centigrado. Monsignor Palletti, vescovo della diocesi interessata, ha fatto bene a ordinare con fermezza la rimozione del tatzebao (“In nessun modo può essere messo in diretta correlazione qualunque deprecabile fenomeno di violenza sulle donne con qualsivoglia altra motivazione, né tantomeno tentare di darne una inconsistente giustificazione”), ma sopprimere un sintomo non significa curare una condizione patologica. In quanto credente nel vangelo e teologo laico sarei del parere di fare attenzione a ciò di cui il manifesto è solo una spia: a quell’iceberg di cui certe stronzate sono solo la punta emergente.
Più che una scheggia impazzita, mi preoccupa quel vasto mondo sommerso del cattolicesimo italiano che – esattamente come don Corsi, ma senza la sua sfacciataggine – ritiene che “le donne sempre più spesso provocano, cadono nell’arroganza, si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni”. E’ un mondo di pacifici nonni, di giovani che studiano o lavorano. E di donne, di tante donne di ogni età e condizione sociale che sono - nei confronti delle sorelle ferite o uccise - più crudeli degli stessi maschi.
Che fare? La strategia più radicale sarebbe tornare a leggere il Nuovo Testamento con occhi critici, informati. Riscoprire la figura autentica di Gesù di Nazareth, quel profeta ambulante che non solo parlava in pubblico con le donne (come la Samaritana presso il pozzo d’acqua), ma si attorniava di discepole che l’accompagnavano nelle sue peregrinazioni. E non nascondeva il suo lato femminile, la sua “anima” in senso junghiano, senza vergognarsi di piangere constatando il fallimento del suo tentativo di raccogliere i figli perduti di Israele “come una chioccia prova a radunare i pulcini sotto le ali”. La psicanalista Hanna Wolf potè scrivere il suo splendido saggio su “Gesù, la maschilità esemplare” . Ma riscoprire il Gesù delle origini è pericoloso: si rischia di scoprire che cosa pensava davvero dell’accumulazione del denaro, dell’esercizio del potere, della corsa al successo, della corresponsabilità nei confronti dei soggetti deboli e degli strati sociali sfruttati. Per questo temo che, alla fine, si preferirà seppellire nell’oblio l’episodio del parroco di San Terenzo, ridotto a mero incidente di percorso.
Augusto Cavadi
1 commento:
Riflessioni davvero illuminanti, caro Augusto. Le condivido.
Maria D'Asaro
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