Care e cari amici,
e già disponibile in internet (versione e-book) e lo sarà nei prossimi giorni nelle librerie italiane (versione cartacea) un libro a cui ha lavorato con molto impegno una mia amica veneta, Chiara Zanella.
Si tratta di Sofia e agape. Pratiche filosofiche e attività pastorali a confronto (Liguori, Napoli 2012).
Ci sono, fra altri, dei miei contributi e anche uno “strappato” al carissimo don Cosimo Scordato.
Qui di seguito uno stralcio del primo dei miei contributi (quello che ritengo più significativo) che, nella versione completa, occupa le pp. 19 – 23.
La filosofia-in-pratica e la spiritualità contemporanea
Dizionarietto preliminare
Il termine ‘spiritualità’ veicola diverse valenze semantiche. Per quanto brutalmente le si voglia ridurre, a scopo meramente orientativo e per amore di chiarezza, se ne devono distinguere almeno tre:
a) In una prima accezione più circoscritta, la spiritualità come dimensione di un’esistenza credente all’interno di una confessione (in questo senso si nomina la spiritualità cattolica, la spiritualità protestante, la spiritualità ebraica, la spiritualità sufi…). I capolavori di Dante o di Manzoni potrebbero scegliersi come istruttive esemplificazioni di questa prima accezione;
b) in una seconda accezione, più ampia, la spiritualità come dimensione di un’esistenza sensibile al ‘sacro’ (in questo senso è pressoché sinonimo di religiosità naturale, di propensione a sintonizzarsi con il divino ovunque traspaia). Penso che molte pagine di Platone o, più recentemente, di Foscolo si presterebbero bene come esemplificazioni di questa seconda valenza;
c) in una terza accezione, infine, per spiritualità può intendersi la dimensione di un’esistenza tesa all’esplicazione delle proprie potenzialità specificamente umane. Alcune opere di Leopardi – o molte o tutte –potrebbero esemplificare questo terzo significato di spiritualità.
Non di rado questi ‘modelli’ di spiritualità vengono pensati e vissuti in conflitto o, nella migliore delle ipotesi, in concorrenza. Non sono d’accordo con questa logica. Né, d’altra parte, ritengo onesto e produttivo rifugiarsi in una sorta di indifferentismo buonista, della serie “tutto fa brodo”… A uno sguardo fenomenologico scevro da (eccessivi) pregiudizi direi che queste tre valenze si supportano in sequenza: il mini-cilindro della spiritualità teologico-confessionale poggia sul medio-cilindro della spiritualità religioso-aconfessionale che, a sua volta, non avrebbe dove basarsi se non poggiasse sul maxi-cilindro della spiritualità areligioso-antropologica. Riformulato con altre parole: nessuna spiritualità confessionale di un praticante appartenente a una chiesa istituzionale può considerarsi autentica se non si radica su una preliminare sensibilità religiosa in senso ampio; ma tale sensibilità religiosa sarebbe sospetta, e soggetta a deformazioni, se non presupponesse - ancor più basilarmente - una vita umanamente intensa, attiva, limpida. Una vita, insomma, laicamente ma autenticamente spirituale. Viceversa una vita può ‘fiorire’ (come ama esprimersi Martha Nussbaum) spiritualmente senza necessariamente declinarsi in senso religioso; così come un soggetto può benissimo coltivare una vivace sensibilità religiosa senza necessariamente incanalarla in una pratica comunitaria più o meno istituzionale.
La filosofia-in-pratica e le spiritualità
Questa iniziale explicatio terminorum, per quanto un po’ pedante, mi sembrerebbe irrinunciabile se si vogliono evitare fraintendimenti ed equivoci nel confronto sul tema (…).
Provo dunque a sintetizzare le mie convinzioni attuali sul ruolo della filosofia-in-pratica rispetto alle dimensioni spirituali (possibili) dell’esistenza. Innanzitutto potrei asserire che un filosofo ‘pratico’ può risultare proficuo, a certe condizioni minimali, nel rapporto con interlocutori che si riconoscano in tutte e tre queste accezioni. Infatti:
a) è possibile che un filosofo consulente (indipendentemente dalle proprie posizioni in questioni teologiche) risulti stimolante e istruttivo per un consultante che si auto-interpreti come credente e praticante all’interno di una ben precisa comunità religiosa (…).
b) E’ possibile, a maggior ragione, che un filosofo consulente (indipendentemente dalle proprie propensioni rispetto alle tracce del ‘sacro’ nel mondo e nella storia) risulti stimolante e istruttivo per un consultante che si auto-interpreti come soggetto ‘religioso’, ma esterno e estraneo a qualsivoglia ‘religione’ storico-positiva (…).
c) Là dove il filosofo-in-pratica può riuscire particolarmente stimolante e istruttivo per un consultante, o per una comunità di ricerca, è nell’ambito della spiritualità non solo aconfessionale ma anche areligiosa (dove l’alfa privativa di matrice greca va intesa come epoché, come ‘messa fra parentesi’, non come anti-, come ‘messa in discussione’). Gli interlocutori del filosofo su questo livello basilare, laico, della spiritualità sono portatori (più o meno consapevoli) di una domanda di ‘esodo’ dal mondo dell’utile e della chiacchiera, del divertissement come senso (o non-senso) di giornate senza memoria e senza progetti (…).
Una conseguenza rilevante
Se questa impostazione teorica ha una sua plausibilità, dovrebbe derivarne (almeno) una conseguenza di rilievo che pertiene al livello non trascurabile del linguaggio, della comunicazione interpersonale. Come una volta ci si chiedeva se fosse preferibile lo psicoterapeuta o il direttore spirituale (e la risposta più saggia era che dipendesse da caso a caso, da soggetto a soggetto, da situazione a situazione…), così ora emerge la questione se sia preferibile il consulente spirituale o il consulente filosofico. Ecco: innanzitutto - proprio preliminarmente rispetto ad ogni ulteriore riflessione in proposito – a mio avviso va riformulata la questione: è preferibile il consulente teologico-confessionale o il consulente filosofico? Solo questa formulazione, infatti, lascia impregiudicata la possibilità - che a mio parere si realizza effettivamente di frequente – che sia il consulente teologico-confessionale (prete cattolico, pastore protestante o rabbino ebreo…) sia il consulente filosofico siano, entrambi, consulenti spirituali. Ovviamente si fregeranno (se ci tengono) del titolo da prospettive diverse e con diverse finalità: ma con eguale diritto (e con eguale divieto di appropriarsene monopolisticamente) .
(…).
Augusto Cavadi
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