“Repubblica- Palermo”
10.10.2012
PALERMO HA BISOGNO DI UNA MOSCHEA
ANCHE SENZA I MILIARDI DELLO SCEICCO
Accettare due miliardi di euro di investimenti da parte di uno sceicco islamico in cambio della costruzione di una moschea a Palermo sarebbe senz’altro un buon affare. Ma che tristezza se si dovesse dare l’impressione all’opinione pubblica che la nostra amministrazione comunale – in ultima analisi la nostra città – concede come merce di scambio un diritto fondamentale! Che amarezza se si dovesse poter ipotizzare, a torto o a ragione, che per avere una sinagoga o un tempio buddhista dobbiamo attendere che qualche miliardario ebreo o cinese atterri sull’isola per proporci l’affare!
So molto bene che convinzioni del genere non sono condivise da tutti. Solo tre giorni fa ho ricevuto la cortese telefonata di un lettore che mi chiedeva per quali ragioni dovremmo relativizzare “i sacri confini della patria” e praticare l’accoglienza, non solo morale ma addirittura materiale, di immigrati provenienti da altre civiltà. Sul momento ho saputo rispondere che non riuscirei ad accontentarmi di una piccola patria come l’Italia o la stessa Unione Europea e che, in quanto cittadino del mondo, sono convinto che i confini della patria coincidano con i confini del pianeta. Ma ci sono ragioni più oggettive e meditate per sostenere che una moschea a Palermo non è un optional.
Una prima ragione, di ordine generale, è che - come ricordava don Ernesto Balducci (di cui quest’anno si è celebrato il ventennio dalla morte) - le sfide del nostro tempo (dall’energia atomica alla manipolazione genetica del DNA, dai dissesti geologici all’inquinamento atmosferico) impongono una logica di solidarietà mondiale, rendono “realistica” l’utopia di una cooperazione internazionale. L’umanità è nella condizione oggettiva di salvarsi o perire complessivamente.
Una seconda ragione, di ordine più specifico, è che - come non si tanca di ribadire Hans Küng – non ci può essere pace nel pianeta se non c’è pace fra le religioni: esse sono delle bombe simboliche, ma non per questo meno pericolose sul piano pratico, che possono coinvolgere in eventuali deflagrazioni intere società. Spade a due tagli, possono fare molto bene o molto male: solo una conoscenza e uno scambio reciproco possono netralizzarne gli effetti negativi e valorizzarne le risorse positive.
Ma, in Sicilia, abbiamo almeno una terza ragione. Passeggiando per il centro storico di molte città - non solo di Palermo – abbiamo le prove evidenti dell’infondatezza della teoria delle radici cristiane dell’Europa. Sì, Roma e il cristianesimo hanno improntato di sé architettura e letteratura, pittura e musica: ma si tratta di una delle tante radici della nostra civiltà. Prima del cristianesimo abbiamo recepito l’influenza di Atene e di Gerusalemme (la filosofia greca e la religione ebraica); dopo il cristianesimo, l’influenza de La Mecca. Cosa sarebbero - senza la presenza araba - le nostre cattedrali, i nostri mercati, i nostri agrumeti, la nostra cucina, il nostro artigianato, la nostra stessa lingua? Fare spazio all’islamismo (che solo una cieca ignoranza fanatica può identificare con il fondamentalismo aggressivo di alcune minoranza armate) non è dunque un gesto di magnanimità, ma di giustizia e di recupero di pezzi essenziali della nostra identità. I sedicenti tradizionalisti che si oppongono al multiculturalismo non sanno di essere poco tradizionali: se lo fossero davvero, andrebbero ancora più indietro nella storia. Sino alle spalle della Controriforma e di quella disastrosa persecuzione ad opera dei sovrani iberici che, nel XV secolo, costrinsero migliaia di onesti artigiani e acuti intellettuali - sia ebrei sia musulmani - a scegliere fra l’esilio e la conversione (forzata, dunque spesso ipocrita) al cattolicesimo.
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