“Repubblica – Palermo”
14.10.2012
GLI EQUIVOCI SULLA MAFIA
CHE AGGRAVANO LA DISTANZA
FRA NORD E SUD
Avviatosi l’anno scolastico, si programmano già viaggi d’istruzione e gemellaggi. Non è facile distinguere, nella pletora di tante iniziative, le occasioni costruttive dai pretesti dispersivi (a cui, purtroppo, se non altro per evitare conflitti in classe, non pochi docenti si si prestano un po’ ipocritamente, facendo finta di credere che a Firenze si vada per gli Uffizi e non per le discoteche, a Roma per i Musei vaticani e non per fare shopping). In questa fase programmatica si registrano, ogni anno, episodi a dir poco inquietanti che vedono gli studenti siciliani protagonisti ora in una veste lora in un’altra.
I casi meno frequenti sono di razzismo nostrano: se un docente propone un gemellaggio con una scuola albanese o marocchina, viene sommerso da un coro di contestazioni. “I matrimoni” – mi spiegò anni fa un dirigente scolastico progressista – “si propongono alle famiglie di ceto più elevato: servono a salire, non a scendere, la scala sociale. Che penseranno i genitori se accompagniamo i figli fra i semi-selvaggi?”.
Siccome, però, c’è sempre qualcuno meno selvaggio di noi, più frequenti sono i casi in cui sono scuole straniere - o anche dell’Italia settentrionale – ad arricciare il naso se qualche insegnante (in genere, meridionale trasferito al Nord da molti anni) propone il viaggio d’istruzione in Sicilia. “Possiamo accogliere i giovani siciliani nelle nostre case” – ci si è sentito, benevolmente, concedere – “ma non ce la sentiamo di mandare i nostri figli allo sbaraglio per le strade insanguinate di Palermo”.
La questione può sembrare secondaria, una sorta di gossip municipalistico che non supera la cronaca di colore. Invece è la spia di una incomprensione – molto più grave e molto più ampia – del fenomeno mafioso. Che - per fare in breve un discorso impegnativo - dista dal brigantaggio quanto l’occupazione strategica delle istituzioni dista dal ribellismo sterile e improvvisato. Quanti sono i turisti rimasti vittime di mafia? Probabilmente – se si eccettuano i due feriti austriaci nell’attentato di Capaci del 1992 – nemmeno uno. La mafia gestisce molti alberghi, molti ristoranti, molti stabilimenti balneari: i turisti li coccola, non gli spara. A terra, con la testa sull’asfalto, ce li sbatte la piccola delinquenza: quella che la mafia avverte come fastidioso elemento di disturbo al giro dei propri affari. Allora la mafia non uccide più (avendo lasciato, secondo il magistero di Beppe Grillo, la faticosa incombenza al governo Monti)? Purtroppo uccide ancora e - non appena si allenterà la morsa repressiva dei migliori esponenti dello Stato e si ristabiliranno le intese con i peggiori esponenti dello Stato – riprenderà ad uccidere con la stessa lena di pochi anni fa. Ma, sarebbe bene capirlo e farlo capire, la mafia non uccide i viaggiatori di passaggio: uccide i siciliani residenti, e resistenti, che non si piegano ai suoi voleri e ai suoi ricatti.
Quando è scoppiata la bomba davanti la scuola di Brindisi mi trovavo in Abruzzo per un convegno. Interrogato dai colleghi sulla matrice dell’attentato - che, all’unanimità, politici e media attribuivano alla Sacra Corona Unita – dichiarai tutto il mio scetticismo: se davvero si fosse appurato che era stata la mafia a uccidere dei ragazzi inermi, provenienti da piccoli centri della provincia non esenti da presenze criminali, avrebbe significato che in questi decenni di analisi non avevo capito nulla del fenomeno mafioso.
Le vicende successive mi hanno confermato il danno che letture affrettate e superficiali possono comportare sul piano delle scelte quotidiane. Pochi giorni dopo, in occasione del 23 maggio, alcuni rappresentanti degli studenti palermitani sono andati a ricevere al porto di Palermo i compagni e le compagne di Brindisi. Ho saputo, dopo, che altri ragazzi palermitani non hanno avuto l’autorizzazione dei dirigenti scolastici perché contrari al rischio di una carneficina: “Se proprio volete farvi ammazzare dai mafiosi, andate per i fatti vostri alla manifestazione di pomeriggio”. Apprendere di tali affermazioni da parte di educatori siciliani – per altri versi preparati ed efficienti - fa male. Significa che la mafia, prima ancora di spiegarla ai turisti, bisognerebbe studiarla un po’ più fra noi stessi.
Augusto Cavadi
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