Diego Bruschi mi segnala sul suo blog:
Dal Giordano al Po
Non è un istant book, non è un pamphlet ispirato dalle aspre polemiche della politica. Il titolo non tragga in inganno. Il libro intende scavare, ragionare, comprendere il fenomeno senza la scorciatoia impotente della facile irrisione, della banale presa di distanza.
Si parte con l’osservazione di un mutamento nel corso degli anni, un cambio di atteggiamento quasi sconcertante, date le premesse, nel rapporto fra il movimento creato dal Bossi e la Chiesa cattolica. Agli inizi c’è una frattura forte, un’ostilità aperta contro la chiesa cardine della romanità, contro un potere che osteggia le ambizioni separatiste, organico e coordinato al potere politico nazionale.
Ad un certo punto, però, incontriamo una Lega che invece rivendica il ruolo di austero e genuino difensore della cristianità, di intransigente baluardo di una religione orgogliosamente rivendicata come cemento identitario.
Al Cavadi appare superficiale la spiegazione incentrata sull’opportunismo, sulla propaganda. L’utilizzo di sentimenti popolari diffusi per il proprio tornaconto elettorale è un fenomeno scontato, esiste da sempre e sempre esisterà, ad ogni latitudine politica. Ma sentirsi convintamente cattolici e altrettanto convintamente leghisti accade a tante persone comuni, persone che non accedono alle stanze del potere, persone sincere. Per questo motivo, nel corso della sua interessante analisi, l’Autore sposta la prospettiva, rovescia il punto d’osservazione del fenomeno e dalla Lega si sofferma sulla Chiesa cattolica.
Perchè la scelta di fare un tratto di strada insieme? Perchè sottovalutare quegli aspetti d’evidente attrito con gli insegnamenti del Nazareno? La spiegazione di questo va incentrata proprio nel modo in cui si concepisce la cattolicità.
«Sono convinto che l’atteggiamento benevolo nei confronti della Lega si basi sulla convinzione sincera, autentica e radicata che la Chiesa cattolica sia depositaria della verità integrale sull’uomo, sul cosmo e sulla storia e che abbia il dovere (prima ancora che il diritto) di “convertire” – alla propria dottrina, alla propria etica, alla propria organizzazione gerarchica ed alla propria “pastorale” – l’intera umanità. Chi è davvero di essere depositario esclusivo della salvezza di “tutto l’uomo” e di “tutti gli uomini” puo’ avere la pretesa di poter subordinare all’espletamento della propria missione universale ed eterna tutti i mezzi, tutte le strategie immaginabili e praticabili.» (p. 119)
E a questo livello Cavadi ci introduce allo snodo centrale, il punto di partenza del problema: cosa significa essere cristiani, cosa vuol dire seguire la via indicata dal Maestro?
Nei primi secoli del cristianesimo era ben viva una lettura più autentica dell’insegnamento di Gesù, incentrata non sul potere (seppur perseguito a fin di bene) ma sull’amore. Un concetto dirompente, rivoluzionario, un mettersi al servizio dell’uomo per riscattarne nel concreto la dignità. Un concetto ben lontano dalla volontà di dominio. E ai primi seguaci di Cristo apparve chiaro come non avesse alcuna intenzione di imporre con la forza o con le leggi il proprio regno, scegliendo invece la sconfitta (apparente) della croce:
«O credi che io non possa pregare il Padre mio che mandi subito in mia difesa più di dodici legioni di angeli?», Vangelo secondo Matteo 26,53
C’è un termine che ricorre: Agàpe, dal greco antico ἀγάπη (amore divino e incondizionato). È questo il vero fermento del cristianesimo, ben lontano da ogni diatriba (condotta anche in buona fede) sulla procreazione assistita, sulla pillola del giorno dopo, sulla concessione di un terreno per la moschea.
Insomma, per Cavadi è la Chiesa cattolica che ha in sè il problema, che non è un banale problema di preti di destra o di sinistra, ma è il rapporto con la parola autentica del Nazareno.
I compagni di strada che scegli, non sono la causa, ma la conseguenza.
Augusto Cavadi
Il Dio dei leghisti
Edizioni San Paolo, 2012
p. 188
Dal blog: http://diegod56.wordpress.com/2012/05/06/dal-giordano-al-po
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