Sul mensile dei Paolini “Jesus”, in edicola nel corso di marzo, è stata pubblicata questa recensione di Francesco Anfossi:
Il dio dei leghisti:
spiritualista ed egoista.
Il libro che tutti i leghisti e tutti i parroci
dovrebbero leggere lo ha scritto un professore
di liceo palermitano, scrittore, saggista,
teologo, studioso di mafia. Augusto
Cavadi, autore del recente Il dio dei leghisti
(San Paolo), pone «una questione teologica
cruciale». E cioè: non farebbe meglio
la Chiesa cattolica a «riformulare la sua
scala di priorità, ricalibrandola con maggiore
attenzione sul messaggio evangelico?».
In concreto ciò significherebbe «chiarire (a
sé stessa, e conseguentemente ai partiti e
all’opinione pubblica) che prima di tutto
vanno individuati, abbracciati e difesi in
maniera efficace e verace alcuni principi
essenziali e indiscutibili (quei principi enunciati,
con la solennità di una carta di intenti,
nel discorso della montagna: le beatitudini
evangeliche)».
Quella di Cavadi è una cavalcata
nella storia della Lega, ricca di spunti e
aneddoti, con particolare attenzione ai
leghisti cattolici e alla loro ideologia, dalla
fase panteista bossiana a quella dello «scontro
di civiltà» e alla loro strenua difesa del
crocifisso. La scrittura è accattivante e non
ci si annoia mai. Anche quando si solcano
profondità teologiche, si ride, si sorride e si
piange. Se il saggio spiega con nettezza gli
errori di chi crede in Dio e nella Lega, interroga
e provoca soprattutto i non leghisti,
credenti e non, a cominciare dai sacerdoti.
Cosa può fare la Chiesa per non indulgere
nell’errore e non incoraggiare «una generazione
di leghisti che si sentono superiori
perché il pane l’hanno in casa e non sentono
più la necessità di provvedere al povero,
allo straniero?». E quanto alla Chiesa, quale
strada percorrere, si chiede Cavadi, tra
«l’integralismo aggressivo e invadente da
una parte e, dall’altra, un intimismo spiritualistico
che preveda solo atti di beneficenza
diretta, di assistenzialismo corto?».
La risposta sta nella ricalibratura dei
cosiddetti «principi non negoziabili» del
Vangelo. Per far questo «non è necessario
andare lontano: basta aprire gli occhi e
leggere il cuore dell’annunzio biblico. Che
Dio ci ama gratuitamente, anticipatamente
rispetto ai nostri meriti e ai nostri demeriti,
creativamente, testardamente: questo è
per il cristiano l’unico valore assoluto rispetto
al quale tutto il resto – appartenenza
ecclesiale, adesione dottrinaria, osservanza
morale, pratica sacramentale, militanza
politica, testimonianza professionale – è
irrimediabilmente relativo. Ma su questa
centralità dell’agape divina non si riflette
mai abbastanza».
In tal caso, se tutto ciò venisse ribadito,
come scrive Augusto Cavadi «l’incompatibilita’
tra i discepoli di Gesù e gli eredi di
Alberto da Giussano risulterebbe evidente».
Basterebbe questo accenno per intuire
quanto lontano fuggirebbero da una simile
Chiesa «ri-centrata su un Dio così concepito,
tutti coloro che parlano di scontro di
civiltà». Molto netta la conclusione inevitabile
della concezione di Dio come Dio
dell’amore: «Europa, vuoi essere davvero la
prima di tutti i continenti? Sii allora la serva
di tutti. Lava i piedi dei tuoi ospiti che, sporchi
di sabbia del Sahara, bussano sgarbatamente
alle tue porte o, ancor meno educatamente,
si abbandonano sugli scogli e sulle
spiagge delle tue coste meridionali».
f.a.
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