“Repubblica – Palermo”
16.10.2011
SE LA BORGHESIA INVERTE LA ROTTA
Nel 1875 lo aveva scritto Franchetti: la mafia non è un pugno di delinquenti marginali, ma un’associazione di “facinorosi della classe media”. Tra aristocrazia e proletariato, la “classe media” è la borghesia: e del tutto appropriatamente Mario Mineo e, con più ampiezza di documentazione, Umberto Santino hanno dunque coniato la formula (un tempo oggetto di sospetto, oggi di uso comune) “borghesia mafiosa”. Che non vuol dire, ovviamente, che tutti i mafiosi siano borghesi (Riina e Provenzano non lo sono) né, ancor meno, che tutti i borghesi siano mafiosi (potrei elencare nove o dieci borghesi come me che, con certezza assoluta, non lo sono né lo diventeranno), ma che la mafia senza il rapporto organico con la borghesia non sarebbe. Sarebbe brigantaggio, delinquenza, terrorismo…non mafia.
Se l’analisi è corretta, le conseguenze operative balzano all’evidenza: solo un divorzio radicale, definitivo, fra Cosa nostra e borghesia (imprenditoriale, professionale, burocratica, politica, intellettuale) potrebbe davvero far rotolare Cosa nostra in un baratro senza ritorno. Ma ciò avverrà mai? Ci sono dei dati statistici attendibili che non lasciano sperare bene. Anzi, diciamolo con franchezza: che inchiodano alla disperazione. Recentemente Tano Grasso, in un contributo a Mafia o sviluppo (la riproposizione di un dibattito con Libero Grassi del 1991), riferiva che circa il 90% delle attività commerciali siciliane continuano, nonostante tutto, a pagare il pizzo. Altrettanto recentemente Corrado De Rosa, esperto e coraggioso psichiatra napoletano, ha documentato (nel suo I medici della Camorra) per la Campania ciò che altri suoi colleghi confermano, sostanzialmente, per la Sicilia: “le connessioni tra sanità e criminalità organizzata” non si evidenziano solo in “corruzione negli appalti, politiche clientelari per l’assegnazione di ruoli dirigenziali, affari della sanità privata, nomine di primari”, ma anche nelle risultanze delle consulenze cliniche specialistiche. Omicidi come quelli dei medici Sebastiano Bosio e Paolo Giaccone costituiscono una tragica contro-prova. I Ros di Palermo - e non scapestrati agitatori d estrema sinistra – hanno scritto in un documento abbastanza recente: “E’ stato davvero sconcertante scoprire che tanti professionisti, soprattutto medici, si siano relazionati con Cosa nostra in maniera così naturale, tanto da far riflettere sull’impegno complessivo che la classe borghese della città intende realmente profondere in direzione della lotta alla criminalità organizzata”. Personalmente sono rimasto sconvolto quando un conoscente avvocato mi ha confidato di aver tolto dal portone esterno la targa professionale (dando ordine al portiere di dire agli sconosciuti che si era trasferito in altra città) solo per non pagare più il pizzo che avevano cominciato a chiedere (e a ottenere!) per i suoi proventi professionali.
Eppure, per dirla con due antropologi statunitensi in questi giorni a Palermo, i coniugi Jane e Peter Schneider, la dittatura mafiosa è “un destino reversibile”. Delle persone splendide hanno avviato da anni delle strategie, tanto più efficaci quanto meno rumorose, per attivare la svolta a “u”: “Addio pizzo” prima, “Libero futuro” dopo. Clienti e imprenditori che s’impegnano, mettendoci la faccia e la firma, a boicottare l’economia inquinata. E adesso è arrivato il momento di “Professionisti Liberi” (www.professionistiliberi.org). Mille fra professionisti in attività (o nella prospettiva di diventarlo) hanno firmato, sulla base di un Manifesto etico, una “Dichiarazione di impegno” e ieri si sono presentati al Teatro Biondo per proclamare pubblicamente la loro filosofia, il loro progetto politico e le loro strategie operative. Mille nomi su un centinaio di migliaia non sono molti, ma sono abbastanza per iniziare un percorso. Soprattutto se le adesioni anticipate da parte di alcuni Ordini professionali dovessero concretizzarsi e concretizzarsi non per moda, bensì per convinzione. Ci sono mali da cui solo la Natura, o il Creatore, possono preservare; da altri, come la mafia, solo la società può decidere se liberarsi o meno. Capisco che ci possono essere remore di vario genere, ma almeno questo riterrei auspicabile: chi voglia, ancora una volta, mettere la testa sotto la sabbia del conformismo e del cinismo, smetta di imprecare contro l’abusivismo edilizio sulle coste, la disoccupazione giovanile e di ritorno, gli intralci artificiosi della burocrazia e le forme di concorrenza sleale nei commerci e nei servizi. Non si può avere la botte piena e il mafioso ubriaco.
Augusto Cavadi
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