“Centonove”
16.9.2011
UNA SPREMUTA DI SICILIANITA’
Ci sono libri che s’iniziano per dovere professionale e si portano a termine per il gusto della lettura: Siculospremuta (Flaccovio, Palermo 2011, pp. 191, euro 12,00) di Antonino Cangemi è stato per me uno di questi. Infatti nelle pagine di questo gustosissimo testo si intrecciano, inestricabilmente, perle di saggezza e venature umoristiche, con il risultato - alla fine – di aver capito più di una radice della mentalità siciliana contemporanea.
L’esergo di Ignazio Buttitta (Un populu diventa poviru e servu/ quannu ci arrubbanu/ a lingua addutata di patri:/è persu pi sempre: un popolo diventa povero e servo/quando gli rubano/ la lingua ereditata dai padri:/è perso per sempre”) offre la chiave per entrare nel registro serio dello scritto che esplora vicende, pregiudizi, intuizioni, tradizioni, vizi e pregi delle popolazioni siciliane. Come, ad esempio, nel commento al detto Chista è a zita (“Questa è la fidanzata”): “un’espressione che ha in sé un gusto caustico e derisorio. E, chissà perché, ci pare risuoni in tutta la sua carica irriverente nella vita pubblica dei nostri giorni. Nell’arroganza di chi ci governa, nel calpestare gli elementari principi del diritto, nel modificare a proprio uso e consumo le basilari regole della convivenza civile. Sembra proprio che quella maschera col parrucchino e il viso rifatto alla Diabolik (le orecchie enormi che per Lombroso avrebbero costituito sinistri indizi), mentre sbandiera il varo di una legge ad personam (la sua persona), contro cui, forte di una maggioranza manipolata, non ci si può efficacemente opporsi, dica a noi, gabbati e impotenti: Chista è a zita”.
Ma, come spesso nella cucina isolana, l’aspro dell’aceto è in queste pagine sapientemente commisto al dolce dello zucchero (fuor di metafora: l’amarezza è commista all’ironia). Esemplare, da questa angolazione, l’esilarante esegesi dell’espressione interrogativa, tipicamente palermitana, Chi dici? (“Che dici?): una “domanda spiazzante e retorica”, “una provocazione, una manifestazione di baldanza, di spavalderia ostentata”. Ti raggiunge a conclusione del racconto di qualcosa che - per chi la formula - è motivo di orgoglio o di forte soddisfazione (“si è vinta una considerevole somma al gioco, si è fatto l’amore con una donna bellissima, si è gabbato il proprio capo con uno scherzo improbabile, si è riusciti in un’impresa assai ardua”): ma la domanda, nel “cifrario linguistico del teatro dell’assurdo” che si recita nel capoluogo della regione, “esige il silenzio dell’interlocutore piuttosto che attendersi una risposta”. Insomma: “il chi dici ? palermitano è come il gesto del calciatore che, dopo aver segnato un goal, soprattutto se spettacolare, si dirige verso la curva dei tifosi della squadra avversaria con l’indice sul naso, come a dire: ‘Silenzio ! Vi ho beffati!’. Una sfida, dunque, un invito a tacere, a far sì che gli altri riconoscano la prodezza”.
In questo mix di serietà ironica, o di ironia seriosa, non mancano le informazioni dotte. Per esempio ho appreso aneddoti che non conoscevo (come la risposta dell’ambasciatore agrigentino Gella, nel V secolo a. C., alla domanda sarcastica dei cittadini di Centuripe se gli ambasciatori di Agrigento fossero tutti così bassi: “No, di certo. Quelli alti, però, li mandiamo nelle città importanti”); ho imparato che nel 1945 un certo Sebastiano Aglianò ha pubblicato un’opera (Che cos’è questa Sicilia?) di perdurante attualità; ho persino imparato l’etimologia di espressioni dialettali del tutto enigmatiche (il Chi nicchi nacchi? deriva dal latino Quid in hic et in hac ?: “che cosa c’entra qui e qua ?”).
Insomma, Antonino Cangemi ci ha regalato un libro che ridendo castigat mores e, per giunta, informa e istruisce: chi dici?
Augusto Cavadi
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