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E. Rindone, Chi è Gesù di Nazareth? Idee nuove e dopo il Concilio, www.ilmiolibro.it, Roma 2011, pp. 238, euro 15,00 (si può acquistare via internet direttamente dal sito).
PRESENTAZIONE
Quando si entra al liceo, l’educazione cattolica ricevuta da bambini viene sottoposta a dura prova. Se non si studiano i libri principalmente per avere attestati cartacei, ma per capire un po’ come va – e come è andato – il mondo, si scopre che la fede cristiana in generale, e la confessione cattolica in particolare, sono da duemila anni oggetto di contestazioni, obiezioni, critiche. Elio Rindone e io, più giovane solo di qualche anno, apparteniamo a una fascia di studenti palermitani che hanno avuto la possibilità, grazie a un prete particolarmente preparato che insegnava ‘religione’, di affrontare questo choc dalla prospettiva migliore: dal punto di vista della consapevolezza. “Informatevi, studiate, meditate; se volete anche, pregate. Poi, con i dati acquisiti, fate la vostra scelta. Di pensiero e di vita”.
La nostra ricerca, a scuola ma anche oltre, è stata sostenuta da una bibliografia teologica che proprio negli anni Sessanta conobbe un fervore che non si era registrato prima e che non si sarebbe registrato dopo: trattati, monografie, articoli che – a ridosso del Concilio ecumenico Vaticano II e negli anni immediatamente successivi – cercavano di uscire dalla “cittadella” delle università pontificie per parlare (a cominciare dall’abbandono del latino) con gli uomini e le donne dell’epoca. Il libro che Elio ci regala racconta la parabola di questa ricerca – intellettuale ed esistenziale insieme – dall’angolazione che, ben al di là di vissuti privati, può interessare il lettore odierno: dal versante delle idee.
È una parabola che non si lascia riassumere senza il rischio di banalizzazioni, ma che – solo a titolo di accenno introduttivo – si può scandire in due tempi principali: l’epoca (pre-conciliare) dell’apologetica e l’epoca (post-conciliare) della teologia ‘fondamentale’. Al di là della terminologia tecnica (che per altro, nelle pagine che seguono, l’autore chiarisce anche ai non addetti ai lavori), di che si è trattato? In una prima fase è sembrata convincente la tesi di quegli studiosi (molti dei quali sono citati proprio in questo volume) che hanno ritenuto razionalmente dimostrabile alcune verità preliminari all’atto di fede: l’esistenza di un Dio creatore, l’eccezionalità del messaggio biblico, l’unicità della figura di Gesù (di cui la storiografia avrebbe potuto attestare sia le parole che i gesti prodigiosi).
Per quanto riguarda in particolare la figura di Gesù, ogni persona, anche oggi – per riprendere un denso passaggio del cardinale Jean Danielou, eco di scritti kierkegaardiani – può sapere con certezza che è esistito e che si è proclamato Dio in terra: dunque o lo rifiuta (in quanto pazzo e/o in quanto imbroglione) o si inginocchia in adorazione. Questa impostazione ci ha convinto al punto da dedicare molti anni della nostra vita ad approfondirla, a chiarirla, a diffonderla. Ma proprio lo studio della teologia ha condotto molti di noi a una seconda fase molto più problematica: quando i vangeli presentano Gesù come il Messia, il Cristo, ci troviamo di fronte a un fatto storico o a una interpretazione di fede? E quando nel Nuovo Testamento troviamo l’espressione ‘figlio di Dio’ come dobbiamo intendere tale figliolanza? Gli esegeti e i teologi più qualificati (anche quelli cattolici, quando per un certo periodo l’autorità ecclesiastica ha lasciato una qualche libertà di parola) hanno dimostrato con argomentazioni piuttosto convincenti, ampiamente riportate nel presente volume, che le tesi della vecchia apologetica erano assolutamente infondate. L’alternativa di un Kierkegaard e di un Danielou poggia dunque su un equivoco colossale. Essere cristiani non significa accettare l’assurdo, l’incredibile, il “paradosso”: ma – più semplicemente e però anche più impegnativamente – accettare che la proposta di vita del Nazareno (abbeverarsi all’amore del Padre per gli uomini e fare della propria carne un segno visibile ed efficace nella storia di tale amore originario) diventi il proprio progetto, sia personale che comunitario.
È perciò facilmente intuibile (ma questo Elio lo può solo accennare nell’ultima parte del suo lavoro per sommi capi) che un rivolgimento così radicale dell’interpretazione di Gesù detto il Cristo non può che comportare una rilettura di tutto il senso dell’essere cristiani. Alle considerazioni dell’autore ne aggiungerei una soltanto. Se Gesù è stato uno dei luoghi della manifestazione della Parola eterna, non il luogo esclusivo e incomparabile, essere suoi discepoli significherà aprirsi a tutte le culture, a tutte le tradizioni sapienziali, a tutte le religioni non con il complesso di superiorità di chi dialoga dall’alto di una verità infallibile e definitiva, bensì con il sincero desiderio di completare il patrimonio evangelico con le ricchezze provenienti da tutti gli altri luoghi in cui il medesimo Logos divino si è, altrettanto parzialmente e imperfettamente, manifestato e donato all’intera umanità.
Con il desiderio, insomma, di liberarsi da qualsiasi “teologia tribale” (per riprendere la felice espressione di Raimundo Panikkar) e di ritrovarsi, fianco a fianco, con le donne e gli uomini di tutta la terra che siano – più o meno consapevolmente – alla ricerca di una vita ‘spirituale’. Nessuna gelosia, dunque, né invidia né condanna, ma solo convivialità e complementarietà fra chi si lascia ispirare dalla saggezza egiziana o dalla filosofia greco-romana, dalla profezia ebraico-cristiana-islamica o dalla meditazione induista e buddhista, sino alle correnti ‘laiche’ più recenti che hanno difeso (fra mille errori) la libertà, l’uguaglianza e la fraternità.
So che queste prospettive possono sembrare ireniche e approssimative: ma non si tratta di lavorare per la distruzione delle specificità originarie e per la costruzione di un blob amorfo, in cui “tutte le vacche sono nere”. Si tratta piuttosto di acquisire la consapevolezza critica che ogni tradizione culturale ha la sua perla preziosa e la sua melma esiziale: il futuro dell’umanità sarà meno atroce se ciascuna tradizione saprà liberarsi dalle proprie scorie e inserire la propria gemma all’interno di un mosaico universale in cui la totalità si va incessantemente modellando solo grazie alla fedeltà di ciascuno al meglio della propria storia.
Il libro che state per leggere avrà in ciascuno di voi una risonanza particolare. Per chi ha una vaga conoscenza di ciò che comunemente passa per ‘cristianesimo’, può essere l’occasione per scoprire prospettive che forse neanche immaginava. A me, in particolare, è sembrato uno strumento irrinunciabile per quei cristiani che vogliano entrare, con consapevolezza, nell’avventura più affascinante che ci possa attendere: apportare, con modestia e anche con fierezza, il proprio contributo per l’edificazione di una ‘globalizzazione’ spirituale, unica garanzia per evitare che la globalizzazione economica sia, di epoca in epoca, la versione ideologica di un’egemonia di parte.
Augusto Cavadi
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