“Repubblica – Palermo” 14.8.2011
CLEMENTE BOVI, UN MARTIRE LAICO DEL SENSO CIVICO
Il titolo della breve, ma ricca, monografia non poteva essere più azzeccato: Un eroe semplice. Infatti il libro di Alfonso Lo Cascio, Giuseppe Cusmano e Vito Andrea Bovi (pubblicato dalle Edizioni Arianna di Geraci Siculo) è dedicato a un giovane carabiniere siciliano, Clemente Bovi, che da eroe è certamente morto ma dopo una vita ordinaria, pulita, semplice nell’accezione più bella dell’aggettivo. Nasce a Ciminna fra la prima e la seconda guerra mondiale e, come molti giovani siciliani di allora (e di oggi), sceglie di entrare nella Benemerita: un po’ per seguire un ideale, un po’ per guadagnarsi il pane. L’8 settembre del 1959 - ha 33 anni, è sposato ed ha un bambino di appena due mesi – viaggia, in borghese, a bordo di una Fiat 1100 guidata da un amico, alla volta di Caltabellotta. Poco dopo il bosco della Ficuzza, a circa sei chilometri da Corleone, un agguato di banditi comuni. Bovi potrebbe limitarsi ad obbedire all’ingiunzione di uscire dall’abitacolo e prostrarsi con la faccia a terra. Potrebbe: non è forse un “uomo semplice”? Ma anche le persone più normali devono fare i conti - quando non l’hanno tacitata del tutto – con un’istanza interiore enigmatica, ma insopprimibile. Qualcuno si ostinava, si ostina a chiamarla coscienza. Così reagisce sparando ai malviventi: due restano colpiti, ma altri due lo sorprendono alle spalle e lo abbattono.
Il resto appartiene a un copione che conosciamo troppo bene: funerali, fiori, omelie, pianti, medaglia d’oro alla memoria. Anche sul piano giudiziario il copione era allora abbastanza abituale (processo in primo e in secondo grado con assoluzione finale degli imputati), ma per fortuna su questo versante s’è registrata una rottura: oggi i giudici - neri, bianchi, rossi o rosei che siano – riescono a individuare molto più spesso i colpevoli e a mandarli in galera.
Perché rispolverare, a distanza di più di mezzo secolo, la vicenda? Le ragioni umane, affettive, le esplicita il figlio Vito Andrea in una toccante lettera postuma: “I genitori si augurano di lasciare in eredità ai propri figli denaro e beni materiali – certo può far comodo, perché negarlo ? – ma posso affermare che non esiste qualcosa al mondo di più grande, più meraviglioso e completo dell’amore tra un padre e un figlio. Non posso spiegare con le parole ciò che si prova a non averti accanto ogni giorno, a non poter sentire la tua voce, a non potermi confidare con te, a non poter condividere con te i progressi e le problematiche della mia vita. Se solo potessi parlarti un istante ti direi grazie per avermi dato la vita”.
Sulle ragioni storiche, oggettive, si sofferma invece Alfonso Lo Cascio nella sobria ed efficace Introduzione: “Quella di Bovi è la vicenda di una delle tante ‘vittime del dovere’ in Sicilia restate senza giustizia. Nell’attuale momento storico, in cui appare arduo suggerire persone votate semplicemente al bene della comunità, e ancora più difficile indicare eroi positivi, abbiamo voluto quasi strappare all’inesorabile oblio del tempo, la vicenda umana di un giovane rappresentante della legge degno di rimanere nella memoria collettiva di un Paese che spesso sembra aver smarrito il proprio sentiero. Abbiamo voluto proporre il profilo di uno di questi militari in cui l’eroismo si traduce nel diuturno impegno quotidiano che talora, sublimandosi, incontra la Storia”. A più di mezzo secolo di distanza non pochi gli interrogativi che rimangono senza risposta: secondo le testimonianze dei viaggiatori, i sei banditi facevano tutti parte di una banda di Gibellina, in provincia di Trapani, accusata di altre rapine e di numerosi fatti di sangue. Ma, in un periodo in cui il banditismo in Sicilia era quasi scomparso, che ci facevano a due passi da Corleone questi banditi di Gibellina? Si erano spinti «oltre confine»di propria spontanea volontà? O qualcuno li aveva «autorizzati» a «violare» il territorio di Corleone con una rapina?
Erano gli anni della guerra ‘civile’ interna a Cosa nostra fra gli uomini del dottor Navarra e gli uomini di Liggio (sappiamo che alla fine perse Navarra e fu l’inizio della carriera di Riina, Provenzano e Bagarella): erano forse troppo impegnati a liquidarsi a vicenda per controllare le scantonature di altri nel proprio territorio? Nel 1962 i giudici di Palermo emettono condanne esemplari per i sei imputati, ma solo quattro anni dopo il tribunale di Bari assolve tutti.
Augusto Cavadi
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