“Repubblica – Palermo”
30 luglio 2011-07-30
Perché il PD siciliano non vuole ascoltare i suoi iscritti?
L’appoggio semi-esterno del Pd all’MPA, con tecnici prestati alla politica, è una furbata napoleonica o si risolverà nell’ennesimo tentativo di suicidio del maggior partito di centro-sinistra? Ai posteri l’ardua sentenza. Noi contemporanei abbiamo il diritto, e il dovere, di scambiarci i punti di vista. Gli uni hanno il diritto di dire che in politica vale il principio del male minore e che una maggioranza diversa da quella espressa nelle urne delle ultime elezioni regionali (insomma un ribaltino di provincia) è comunque preferibile a decenni di incatenamento all’opposizione. Gli altri hanno il diritto di osservare che i decenni di minoranza diventeranno secoli se chi ha votato Finocchiaro per non avere Lombardo costata che, con il suo voto, ha perduto la Finocchiaro (prontamente tornata a presidiare il Senato) e si è trovato a salvare Lombardo (la sua poltrona, anzi l’intero salotto buono con i cento ospiti consulenti) . E’ ovvio che, alla prossima tornata, se non vorrà l’MPA dovrà evitare non solo di votargli a favore, ma anche contro – sino a quando l’avversario sarà il Pd.
Se ogni opinione è lecita in democrazia, l’unico divieto è impedire che gli iscritti a un partito dicano la propria. E la dicano con l’autorevolezza e l’incisività che vengono dall’aver speso non solo i dieci euro di iscrizione, ma soprattutto la propria faccia e il proprio nome davanti a parenti, amici e conoscenti. Invece l’attuale dirigenza regionale del PD sta attuando proprio questa censura: Lupo (per altro eletto segretario regionale in nome di una proclamata alternatività alla politica lombardiana) ha deciso di dialogare con tutti, a destra e a manca (ma soprattutto a destra), tranne che con i suoi elettori.
Siamo davvero al paradosso. Già trent’anni fa Duverger spiegava nei suoi libri di politologia che le democrazie occidentali sono ferite a morte dal tradimento dei partiti politici che, nati come ponte fra la società e lo Stato, diventano invece un muro. Potremmo dire, prolungando la sua metafora, che si comportano da ponte levatoio: se alzano le funi, fra i cittadini e le istituzioni restano fossati incolmabili. Come si può essere funzionali alla democrazia in un sistema politico complessivo se, intanto, non la si esercita all’interno della propria organizzazione?
Ora, che ciò avvenga nei partiti di destra che si presentano quali sono nel dna, cioè leaderistici e autoritari, pazienza: chi li vota sa già che lo statuto non prevede alcuna forma di consultazione popolare né di partecipazione della base alle strade da intraprendere. Ma che ciò avvenga in partiti che si dicono democratici sin nel nome; che sono nati per raccogliere il meglio delle tradizioni (antifasciste) socialista, cattolica e liberale; che spendono la metà delle energie a criticare il verticismo padronale degli altri partiti (l’altra metà è impegnata in polemiche interne e in contese spartitorie neo-feudali): tutto ciò farebbe scompisciare dalle risate se non fosse tanto triste da far incavolare davvero. Perché, davanti a una richiesta firmata da migliaia d’iscritti che rivendicano, secondo i canoni previsti, il referendum, la dirigenza regionale nicchia, scrive lettere su come regolamentarlo, poi ricorre a cavilli da azzeccagarbugli per non attuarlo? Perché i probiviri siciliani tacciono e non denunciano queste gravi violazioni della lettera e soprattutto dello spirito animatore del PD? Perché – già che ha le maniche della camicia rimboccata – il segretario nazionale non afferra la cornetta di un telefono per ordinare a Lupo e ai suoi colleghi di cordata (diventata, senza nessuna legittimazione, una sorta di comitato di salute pubblica al di sopra delle norme giuridiche, dell’etica e del buon senso) il rispetto delle regole? Se Francesco Musotto, capogruppo dell’Mpa all’assemblea regionale, arriva a dare consigli al Pd su come deve comportarsi al proprio interno, dichiarando che “chi chiede il referendum tende a mistificare una situazione che va bene così com’è”, non viene il sospetto che qualcosa non va? Che la base del Pd venga trattata come truppa di riserva agli ordini non dei propri generali, ma di possibili alleati? Se un navigato politico, da decenni schierato a destra, può deridere pubblicamente e impunemente gli elettori che chiedono di fare qualcosa di sinistra, non sarebbe questo già da solo un buon motivo per sospettare che “la situazione così com’è” avrebbe bisogno di una verifica, se non di una rettifica radicale, da parte di chi milita sul fronte nominalmente opposto? Il giovane e attivo segretario della sezione comunale del Pd di Rivalta di Torino, solo pochi giorni fa, mi confidava che – se fosse stato in Sicilia – avrebbe già stracciato la tessera del suo partito.
Un partito che ha paura dell’opinione pubblica, nascondendo i suoi valori, i suoi metodi e i suoi criteri di azione rivela, per ciò stesso, una debolezza intrinseca che non lascia presagire niente di buono. Ma se ha paura persino di chi l’ha fondato, l’ha sostenuto con la propria iscrizione, l’ha incoraggiato col proprio voto (turandosi il naso e qualche volta anche orecchie e occhi) non è un partito senza futuro: è un partito con un presente illusorio.
Augusto Cavadi
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