“Repubblica – Palermo”
2 luglio 2011
LA DIFFERENZA ANTROPOLOGICA CHE (NON) CI SEPARA DALLA DESTRA CLIENETELARE
E’ stato importante che i rappresentanti dei partiti siciliani di sinistra e di centro-sinistra abbiano accettato l’invito di Rita Borsellino e Alfio Foti a parlarsi intorno a un tavolo. E proprio il clima estremamente sereno, civilissimo, è servito - paradossalmente – a mettere in risalto i contrasti reali, molto più che se fossero volati insulti e accuse reciproche. Il nodo della questione si è manifestato con tutta la chiarezza desiderabile: per Giuseppe Lupo non si vince senza l’alleanza elettorale con il centro “moderato”, per tutti gli altri tale eventuale vittoria elettorale sarebbe una vittoria di Pirro. Implicherebbe, infatti, l’omologazione con un modo di fare politica che taglierebbe i ponti con i siciliani onesti: la cancellazione di un riferimento dentro le istituzioni rappresentative per i cittadini che non accettano né cuffarismi né lombardismi.
E’ solo una diversità strategica o, alla base, agisce qualcosa di più radicale? La netta impressione che si è avuta dalla discussione di giovedì sera è che il PD siciliano e altre formazioni politiche d’opposizione siano separati da una differenza antropologica. Tutti infatti, saggiamente, hanno messo fra parentesi le vicende giudiziarie dell’attuale presidente della regione e si sono concentrati sul suo stile di governo, sulla sua rete di relazioni, sui suoi metodi clientelari. Ma è proprio il giudizio etico e politico sulla filosofia pratica di Lombardo che si evidenzia la differenza fra chi rappresenta una lunga tradizione di consociativismo e chi rappresenta (o pretende di rappresentare) una rottura e una novità (evocando, non certo a caso, i nomi dei sindaci di Milano, Napoli e Cagliari). Da una parte, insomma, il segretario regionale formatosi nella Cisl di D’Antoni e di Bonanni (vere scuole di equilibrismo tattico e di lobbing più o meno nominalmente proletaria); dall’altra l’eurodeputata prestata alla politica dopo due decenni di impegno gratuito e volontario nell’associazionismo. Da una parte il portavoce di un Pd siciliano che - con i suoi Crisafulli, Capodicasa, Mattarella e via cantando – non ha nulla da imparare dalla furbizia tattica e dall’elasticità morale di un Lombardo; dall’altra i portavoce, giovani e meno giovani, di organizzazioni politiche che hanno fatto e fanno della legalità democratica, della partecipazione dal basso, della rivendicazione dei diritti costituzionali, i principi irrinunciabili dei propri programmi. Da una parte chi fa politica per vincere, sperando di non perdere la dignità; dall’altra chi fa politica per non perdere la dignità, sperando di vincere.
Nessuno è così ingenuo da pensare che qui siano in lizza del forze del “bene” contro le forze del “male” (e la Borsellino, nel suo intervento conclusivo, l’ha saputo dire con eleganza e precisione): è facile essere duri e puri quando non si hanno le occasioni e i mezzi per peccare. E’ altrettanto comprensibile che, in politica, si accettino dei compromessi marginali e provvisori in nome del male minore. Ma una cosa è diventare maggioranza su un progetto chiaro, forte, nettamente riconoscibile e, da una posizione di autonomia, stabilire accordi sperimentali, settoriali o locali, con aggregazioni politiche di dubbia tempra; e tutta un’altra cosa è rinunciare a entrare per la porta principale, con i voti di chi vuole una Sicilia diversa rispetto ai sessant’anni precedenti, rassegnandosi per principio a fare capolino dalle entrate di servizio e dalle finestre lasciate aperte da quegli stessi padroni di casa contro cui si erano combattute intere campagne elettorali.
Augusto Cavadi
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