venerdì 19 novembre 2010

Scioperi: dove sbagliano gli studenti


“Centonove”
12.11.2010

SCIOPERI, DOVE SBAGLIANO GLI STUDENTI

A meno di un mese dall’inizio delle lezioni, gli “Studenti medi di Palermo” hanno annunciato il primo “corteo studentesco”: insomma, come viene impropriamente chiamato, il primo ‘sciopero’ dell’anno scolastico. Un’occhiata al volantino fotocopiato rivela che si tratta di un’iniziativa di ragazzi dell’area di opposizione al governo di centro-destra. La matrice ‘progressista’ è, per genitori e professori ‘moderati’, un dato sufficiente a condannare l’iniziativa: deve essere, per chi è affine ideologicamente ai promotori, un dato sufficiente per approvarla? So che, in questi mesi, la rabbia contro la Gelmini indurrà molti adulti ad appoggiare, o per lo meno a non criticare, l’astensione in massa dalle lezioni di questi ragazzi: ma, così atteggiandosi, si fa davvero il bene della scuola e del Paese?
Nel foglio distribuito si affastellano rivendicazioni di ogni genere. L’intento generale - contestare una politica scolastica ridotta a variabile dipendente della riduzione della spesa pubblica - è due volte sacrosanto: primo, perché i tagli all’istruzione dovrebbero seguire, non precedere, i tagli alle spese militari, agli emolumenti dei superburocrati e dei manager di aziende a partecipazione statale, ai patrimoni degli evasori fiscali; secondo, perché i tagli all’istruzione, che implicano un risparmio nell’immediato, si risolvono entro pochi anni in abbassamento della produttività e della competitività di uno Stato.
Ma come si traduce, in concreto, questo legittimo intento contestatario? In una serie di richieste in qualche caso opinabili, in altri francamente sbagliate. Opinabile, infatti, è contestare la diminuzione del monte-ore settimanale di lezioni frontali (a mio parere, studiare meno contenuti culturali è l’unica condizione per poterli studiare con più serietà qualitativa); la diminuzione delle gite scolastiche all’estero (tre mesi di vacanze estive sono più che sufficienti per girare l’Europa, non c’è nessuna necessità di interrompere il ritmo delle lezioni in aggiunta alle vacanze natalizie e pasquali); la riforma della formazione professionale (per gli studenti che, a prescindere dai ceti sociali di appartenenza, si sentono più realizzati in attività tecniche e manuali che intellettuali). Francamente sbagliata, poi, la battaglia contro il 5 in condotta: tranne rarissimi casi, si sa che un voto del genere è affibbiato ad alunni che mostrano, reiteratamente, di fregarsene delle regole stabilite dalla comunità scolastica. Perché spuntare quest’arma educativa se può servire a dissuadere adolescenti dal diventare come gli adulti peggiori, dai mafiosi ai politici corrotti? Altrettanto, anzi ancora più sciocca, la battaglia contro il tetto di 50 giorni di assenze per anno: invece che difendere l’assenteismo di alcuni di loro, gli alunni dovrebbero combattere l’assenteismo (laddove si registra) di dirigenti scolastici, docenti e personale amministrativo ed ausiliario.
Molto più convincente e costruttiva sarebbe una protesta che non implicasse minori occasioni di studio, di informazione, di riflessioni e di confronto, bensì l’apertura anche nel pomeriggio delle strutture scolastiche (biblioteche, palestre, aule per seminari e conferenze); che si svolgesse non di mattina al posto delle lezioni ordinarie bensì di sabato pomeriggio, prima della partita di calcio o della serata in discoteca; che mirasse non alla mobilitazione massiccia ed emotiva di masse, bensì alla formazione delle coscienze anche in ambiti solitamente trascurati dai programmi scolastici (il diritto, l’economia, la sociologia, la psicologia sociale e soprattutto la politologia). La scuola si salva solo se si rigenera la dignità della politica: ma la politica si rigenera solo con una scuola più seria, più esigente, più laboriosa e più allegra. Il Sessantotto ha avuto una sua funzione storica, ma distruggere il vecchio non ha nessun senso se – contestualmente – non si costruisce il nuovo. Quarant’anni di cortei, manifestazioni di piazza, occupazioni e autogestioni sono serviti a formare elettori più consapevoli e incisivi? Non mi pare. Anche se con poche speranze di essere ascoltati, abbiamo il dovere di dirlo ai sedicenni di oggi: l’ignoranza diffusa, la scuola permissiva, gli scioperi autolesionistici ci hanno regalato un ventennio berlusconiano. Forse sarebbe il momento di mutare strategia per evitare di regalarcene altri venti.

Augusto Cavadi

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