Il mio secondo articolo su “Repubblica” era basato su due lettere indirizzate al Redattore capo di Palermo e trasmessemi in via confidenziale dallo stesso Redattore per consentirmi di elaborare una risposta sintetica e conclusiva della polemica.
Il senatore Angelo Capodicasa ha adesso fatto pervenire al mio indirizzo personale copia della sua lettera chiedendomi di pubblicarla integralmente nel mio blog: cosa che faccio volentieri (una volta che sono direttamente in possesso del suo testo) per dare anche ai miei “venticinque lettori” la possibilità di farsi un’idea più completa.
Ringrazio intanto Capodicasa di aver accettato di interloquire sulle accuse rivoltegli da Arnone. A differenza di altri lettori del mio blog (che hanno preferito commentare anonimamente - diciamo pure vigliaccamente - il mio primo intervento su “Repubblica”), l’ex presidente della Regione siciliana preferisce il confronto pubblico, a carte scoperte. Forse, a chi non mi conosce personalmente, potrà sembrare strano; ma sarei felice, come elettore del centro-sinistra, scoprire che almeno Capodicasa sia differente dall’immagine che ne dà Arnone sul suo libro.
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Caro Augusto Cavadi,
nell’articolo di venerdì cinque marzo, nel tentativo di decifrare il mio atteggiamento rispetto al contenuto di un libercolo pubblicato da Arnone, il cui titolo, chissà perché, la inquieta tanto, sciorina dotte nozioni di storia della democrazia che forse sarebbe stato meglio riservarsi per cose più importanti.
Secondo lei, che evidentemente non conosce bene i trascorsi dell’autore, egli con questo libro ci avrebbe fatto compiere un balzo avanti nel progresso democratico “provando ad attraversare il confine tra la barbarie e la civiltà” (sic!).
Sempre secondo lei sui contenuti del libro possono esprimersi solo dei magistrati per gli aspetti penali (ma quali?) e gli storici ( addirittura!) per gli aspetti etici.
Ora, a parte il fatto che non si comprende cosa c’entrino gli storici con gli eventuali aspetti etici (semmai gli storici dovrebbero, penso, accertare la veridicità dei fatti), mi pare che le faccia difetto una certa lucidità nel porsi di fronte a cotanto problema, sia pure, da “semplice cittadino” com’ egli afferma di essere.
“Come cittadino - afferma infatti– che osserva e cerca di capire, posso solo avanzare il sospetto che Arnone quando elenca fatti e nomi (…) non stia inventando nulla”.
Ho apprezzato la finezza: lei non dice che le cose scritte da Arnone la convincono e le sembrano vere. No, lei “avanza il sospetto” che possano essere vere. E ci risiamo di nuovo: il “sospetto come anticamera della verità” (… la storia non insegna mai nulla ).
Lei afferma, però, che può ammettere che Arnone “dica menzogne o esageri nel raccontare verità storiche” ma, in nome della democrazia, ritiene che gli accusati dovrebbero, in ogni caso, rispondere dando una propria versione dei fatti.
Noi abbiamo una concezione un tantino diversa della democrazia. L’esercizio della democrazia credo non contempli piazzate, risse, com’è nello stile di Arnone. Non contempla quella sorta di inversione dell’onere della prova – questa sì sarebbe barbarie - a cui lei si richiama, finendo per dare dignità ad un cumulo di menzogne, ricostruzioni di comodo, manipolazione dei fatti.
Altra cosa è il dibattito ed il confronto, anche aspro, che richiede lealtà e buona fede.
Lei ritiene che vi siano aspetti che mi riguardano meritevoli di chiarimenti da parte mia? Me li indichi, riceverà risposte puntuali.
Mi indichi la sede e le modalità, se vuole anche private, in cui questo possa avvenire. Come, del resto, ho già fatto con quanti me l’hanno richiesto e nelle sedi in cui mi è stato possibile farlo; come la Commissione Nazionale di Garanzia de PD, dalla quale sono stato audito, su mia richiesta, qualche settimana fa.
Come si vede, nessun muro eretto a difesa di non so quale inconfessabile verità. Solo un po’ di compostezza e di dignità che, di questi tempi, in politica non guasta.
In ultimo, non posso fare a meno di sottolineare l’improponibilità dell’accostamento con la vicenda che oppose L’Ora all’on. Lima, fatto nell’intento di rafforzare il suo ragionamento.
Questo richiamo costituisce, a mio avviso, prima ancora che un infortunio, un insulto al glorioso giornale L’Ora.
Infatti, in quel caso a fare domande ad un politico che veniva considerato il perno del sistema mafioso, era un “Signor Giornale” diretto da un “Signor Direttore” che rispondeva al nome di Vittorio Nisticò.
Qui a chi ci si chiede di rispondere? A un pluricondannato per diffamazione, che ha già collezionato ben oltre di una mezza dozzina di condanne, di cui un paio già definitive?
Dovremmo rispondere ad un soggetto che come accertò la DDA di Palermo, in un atto giudiziario, nell’ambito di un’inchiesta a suo carico per concorso esterno in associazione mafiosa, essere stato a “libro-paga” di imprenditori all’epoca indagati e poi effettivamente condannati per mafia?
Oppure di chi ha sostenuto, con pubblici comizi, contro il candidato del centrosinistra, candidati del centrodestra strettamente imparentati con riconosciuti boss mafiosi, condizione personale questa solitamente considerata gravissima dall’Arnone per i suoi avversari del momento?
Del resto a chi dovremmo rispondere? Ad uno che, ad oggi, non è come dice lei un “noto dirigente Regionale del Pd” ma uno che è stato messo fuori dal partito con un provvedimento della Commissione Regionale di Garanzia, per aver violato lo Statuto ed il Codice Etico del Pd? Provvedimento, tra l’altro, confermato di recente dalla Commissione Nazionale di Garanzia.
Un soggetto in evidente debito di credibilità, che cerca di rifarsi una verginità ed alla disperata ricerca di accreditamenti e di visibilità.
Mi fermo qui per carenza di spazio. Ma se poi lei preso dal dubbio volesse approfondire di più, siamo a sua totale disposizione ed ho motivo di ritenere che alla fine cambierà opinione sia sul libro che sul suo autore.
Grato per l’ospitalità.
Angelo Capodicasa