domenica 14 febbraio 2010

Italiainformazioni del 10.2.2010 su Il Dio dei mafiosi


“Il Dio dei mafiosi”, la religiosità degli uomini di Cosa Nostra

di Antonino Cangemi
10 febbraio 2010

L’analisi del fenomeno mafioso svela un inquietante paradosso: gli uomini di “Cosa Nostra” sono, nella quasi generalità, cattolici e, non di rado, credenti pieni di fervore. Come è possibile ciò? La mafia, con l’efferatezza dei suoi crimini, non è sorda al richiamo di Dio? Come si spiega allora l’ostentata religiosità degli “uomini d’onore”?

A questi interrogativi risponde Augusto Cavadi, sociologo e teologo palermitano, nel suo recentissimo “Il Dio dei mafiosi”, edito da San Paolo. Cavadi parte da un’analisi, penetrante e aliena da luoghi comuni, della mafia.

Autore di diversi scritti sulla realtà mafiosa, Cavadi ne delinea i principali tratti che la connotano: l’omertà che preserva la segretezza dell’organizzazione, la struttura gerarchizzata e piramidale, il familismo amorale, il ruolo subalterno della donna, l’ideologia pervasa di dogmatismo e fondamentalismo che si accompagna alla pratica dell’ obbedienza cieca al potere carismatico del boss, la sottovalutazione della vita terrena a cui fa da contraltare l’esaltazione della virilità e dell’onore, l’individualismo e la diffidenza nei confronti della vita pubblica.

Nell’universo mafioso, più complesso di quanto possa apparire, Cavadi scorge aspetti tribali e arcaici che si coniugano ad altri moderni e, soprattutto, l’assimilazione di elementi desunti da modelli culturali borghesi-capitalisti (quale, ad esempio, l’assenza della solidarietà, se non limitata al ristretto nucleo familiare), dal “cattolicesimo mediterraneo”, da canoni comportamentali meridionali e siciliani.

Sviscerata la mafia nei suoi diversi e problematici profili e svelatone l’intreccio con culture da essa esteriormente lontane, Cavadi dimostra, con sorprendente lucidità, come possa configurarsi una “teologia dei mafiosi”. Una “teologia” cioè che indica in che modo gli uomini d’onore credono, come vivono la loro religiosità, come raffigurano Dio, la madonna, i santi.

Il Dio dei mafiosi è onnipotente, punitivo, privo di misericordia, trascendente , “garante dell’ordine cosmico e dell’ordine sociale”, in quest’ultimo aspetto simile a quello del cattolicesimo borghese. Esige obbedienza assoluta e sacrifici fini a se stessi. E’ inarrivabile, se non attraverso la mediazione dei santi e della madonna, che infatti sono oggetto di particolare venerazione (si pensi alle tante processioni sovvenzionate dai mafiosi). In ciò si evidenzia l’influsso delle tradizioni cattoliche mediterranee, come pure nell’enfatizzazione della passione e della crocifissione e, di contro, nel minimizzare la resurrezione. Nel sentire religioso dei mafiosi prevalgono i registri lugubri, la mancanza di gioia e di bellezza. Il Dio della mafia è’ una divinità quasi spietata, che non conosce tenerezze e perdono e che, in qualche modo, assomiglia ai boss stessi. Lo si potrebbe identificare in una loro proiezione.

Nelle pagine del saggio si evidenzia anche come una parte della comunità ecclesiale retrograda e miope, per usare eufemismi, si sia resa complice di “Cosa Nostra”, assecondandone i culti e accettandone protezione e offerte e che, similmente, tanta borghesia “accomodante” la abbia agevolata, disconoscendola o ridimensionando la sua pericolosità sociale.

Nel 1993, ad Agrigento, le dure parole di condanna di Giovanni Paolo II: “Dio ha detto una volta: “Non uccidere!. Nessun uomo, nessuna associazione umana, nessuna mafia può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio”. E di recente, alla conferenza episcopale di Assisi, monsignore Mariano Crociata ha stroncato ogni equivoco: “Non c’è bisogno di comminare esplicite scomuniche, perché chi fa parte delle organizzazioni criminali già automaticamente è fuori dalla comunione ecclesiale”.

Tutto ciò rivela una nuova consapevolezza della malvagità mafiosa da parte della istituzioni della Chiesa. Ma Cavadi, che conosce bene il fenomeno mafioso e talune ambiguità tuttora presenti nel mondo religioso, sente il bisogno, nell’ultimo capitolo del libro, di individuare una serie di anticorpi di cui la cristianità deve munirsi per arginare il triste legame tra “Cosa Nostra” e la chiesa. E ciò sulla scorta dell’esempio dei tanti preti di elevato spessore etico, primo tra tutti Don Pino Puglisi (da non perdersi il suo ironico “padrenostro del picciotto” ricordato nel volume), e nel nome del messaggio misericordioso del vangelo.

Nota: Lo stesso giorno la medesima recensione è uscita anche su “Siciliainformazioni.com”

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