“Repubblica - Palermo”
3.1.2010
Augusto Cavadi
DON MILANI E IL SUD
Che nesso potrebbe vedersi fra l’opera di don Lorenzo Milani, il prete toscano morto nel 1967, e il Meridione italiano? Nel corso di un convegno se lo sono chiesti alcuni autorevoli studiosi e adesso gli Atti (Lorenzo Milani. Memoria e risorsa per una nuova cittadinanza, a cura di L. Di Santo e S. Tanzarella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2009, pp. 204, euro 20,00) sono stati messi a disposizione del pubblico.
Si tratta di materiali interessantissimi per varie ragioni. Innanzitutto perché vi sono apporti pluridisciplinari che proiettano luci da posizioni diverse: storici (come Sergio Tanzarella e Anna Carfora), giornalisti (come Maurizio Di Giacomo e Luca Kocci), politologi (come Rocco d’Ambrosio), sociologi (come Umberto Santino), filosofi del diritto (come Luigi Di Santo), pedagogisti (come Giorgio Marcello), operatori pastorali (come Fabrizio Valletti) e teologi (come Cosimo Scordato e Antonio Mastantuono). La varietà delle competenze si intreccia, poi, con la pluralità delle provenienze territoriali e soprattutto ideali: atei e credenti hanno letto il contributo di don Milani a partire da formazioni ed esperienze differenti, spesso complementari.
Quali alcuni dei risultati principali di questa riflessione a più voci? Un po’ arbitrariamente si potrebbe sottolineare che “una questione meridionale esiste innanzitutto in termini di formazione e di differenti occasioni e possibilità che sono offerte o negate ai più giovani, la cui condizione permanente è ancora quella dell’esclusione nonostante coraggiose forme di resistenza di insegnanti e studenti”. Ma “la lotta all’analfabetismo” (diventato, frattanto, anche telematico) è solo il primo degli ambiti problematici del Meridione in cui spendere le intuizioni milaniane. Seguono infatti “l’impegno costante, tramite micro progetti locali, per l’utilizzo effettivo dell’acqua come pubblico di tutti”; “iniziative per ridurre e governare nei limiti del possibile il ricorso a lavoro nero e a quello minorile”; strategie educative per “far sì che, in una Italia sempre più multietnica e multireligiosa, sia possibile agevolare la formazione di quadri dirigenti a livello locale (inseriti in itinerari laboriosi e faticosi perché di lunga lena di educazione alla legalità) di uomini e donne extra-comunitari”; incentivare “l’uso sociale dei beni confiscati” ai mafiosi per concretizzare la “socializzazione dell’economia, riconvertendo in utilità sociale i prodotti dell’accumulazione illegale”.
Tra i molti pregi del volume va evidenziato la laicità con cui ci si è accostati a don Milani: laicità - distanza critica, libertà di giudizio - persino nei confronti della sua figura e del suo stile. Troppi infatti l’hanno mitizzato, dimenticando - come si lege nell’intervento di un prete palermitano che da decenni si spende per gli adolescenti dell’Albergheria di Palermo - che “l’esperienza milaniana, pur così coinvolgente, alla fine risulta più una testimonianza che un metodo trascrivibile in altre situazioni; ma, proprio in quanto testimonianza di un amore alla scuola della vita e alla vita della scuola, in quel singolare rapporto da lui vissuto con i suoi ragazzini, ha qualcosa di inattuale non nel senso che può essere considerato sorpassato, piuttosto nel senso che ha qualcosa di utopico e di profetico; in questo senso, se c’è qualcosa da apprendere dalla suddetta esperienza, non dobbiamo ricercarla soprattutto nelle ricette da offrire, quanto nello spirito che l’ha ispirata; rispetto alle modalità concrete non mancano esperienze anche più raffinate e più elaborate; rispetto allo spirito crediamo di avere ancora tutto da imparare”. Insegnanti disposti a scimmiottare slogan di don Milani (”Non bocciare”) ce ne sono; molti di meno disposti a ripercorrerne la fatica (”dare più scuola - e scuola di qualità - a chi ne avesse più bisogno”).
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Dalla Prefazione di Sergio Tanzarella
“L’azione pastorale e civile di don Lorenzo Milani può ispirare la formazione delle coscienze delle genti del sud d’Italia aiutandole a superare la rassegnazione e il giogo delle associazioni criminali e della politica ridotta a clientela e dominio? Per rispondere a questa domanda io e Maurizio Di Giacomo organizzammo a Napoli nel 2007 un convegno presso l’Istituto di storia del cristianesimo della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (sez. san Luigi). Questo libro raccoglie quasi tutte le relazioni di quell’intensa giornata alla quale parteciparono una inattesa quantità di persone dalle più disparate provenienze e tutte in qualche modo interessate o sipirate dalla testimonianza di Lorenzo Milani a quarant’anni dalla morte. Si materializzò allora la stessa Italia descritta da Milani nel 1966 e che solidarizzava con le sue lettere ai cappellani militari e ai giudici: ‘è un’Italia sconosciuta questa che scrive e si sente vicina a noi perché abbiamo detto cose che moltissimi intuivano anche se non sapevano dirle bene come l’abbiamo dette noi standoci sopra a lungo come abbiamo fatto’. Ci apparve così concretamente la sua attualità, per nulla toccata dalla quantità di fango, falsità e bugie che sia da vivo sia da morto hanno tentato di deformarne l’immagine”.
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