domenica 11 ottobre 2009

Silvio Salanitri commenta il mio “In verità ci disse altro”


Dal Foglio culturale “Pequod”
dell’Associazione “teAtroZeta
(Termini Imerese - Palermo)
numero 0
maggio 2009

“In verità ci disse altro”
Grumi di pensiero, riflessioni sul libro di Augusto Cavadi (Falzea editore)

“In verità ci disse altro”, più che un titolo una estrema sintesi. Più che un titolo un monito, un avvertimento.
Potrebbe bastare questo. Si potrebbe finire già con questo: “In verità ci disse altro”. Potremmo accontentarci. In fondo non sarebbe già abbastanza per decidere di volerci mettere al riparo? Per non andare oltre? Non sarebbe già sufficiente per decidere di risparmiarci chissà quali ardite congetture, chissà quali funanboliche e vertiginose acrobazie del pensiero per tirare in ballo e sollecitare rimeditazioni sulle nostre rassicuranti convinzioni?
Raramente il titolo di un libro riesce così azzeccato e di effetto. Raramente il titolo di un libro è così pertinente e rappresentativo del contenuto, posto a rivelarne l’essenza: la gemma incastonata nella trama del pensiero, la ’summa’ di cìò che si aveva da dire. Raramente il titolo di un libro risuona così tragico e gravido di conseguenze.
Chi è il grande frainteso non occorre precisarlo, o forse sì? E’ necessario per rassicurare che si tratti di Lui? Ebbene sì, il grande frainteso è proprio Lui, o, forse, è meglio dire ciò che si è detto di Lui dopo di Lui.
Chi ha l’abitudine di frequentare le librerie al pari delle vetrine dei negozi che suggeriscono la moda del momento, per il piacere di lasciare scorrere sotto la punta delle dita i titoli e curiosare, lasciandosi affascinare dalle copertine multicolori, avrà notato che negli ultimi anni hanno conquistato gli onori delle posizioni in cima alle classifiche alcuni libri che hanno voluto mettere in profonda discussione le posizioni e l’autorevolezza della Chiesa cattolica e del Cristianesimo in senso più ampio. Scrittori come Piergiorgio Odifreddi, Vito Mancuso, Luigi Lombardi Vallauri, hanno dato alle stampe anche più di un volume dal titolo inequivocabilmente provocatorio e contestatario. Ma quello che sbalordisce non è solo il fatto che questi libri hanno raggiunto gli scaffali delle librerie, ma soprattutto l’aver trovato lettori disposti a leggerli sino al punto di farne successi editoriali.

Stupisce ma anche incuriosisce sapere che un libro che si colloca in questa scia è stato scritto a pochi passi da noi, da un filosofo palermitano.
“Secondo l’opinione comune puoi credere solo se rinunzi a pensare” è questo l’esordio della prefazione, per poi proseguire qualche riga più giù: “che succede a chi ritiene insoddisfacente questa alternativa fra credere e pensare?” E la mente dei più a questo punto farà appello all’enciclica “Fides et ratio” di Giovanni Paolo II, ma sarà bene avvertire che la questione non si risolve così semplicemente.
Il libro non è facile, ma è sincero. Traspare quella sincerità che contraddistingue le opere che vogliono fare il riepilogo delle proprie ricerche, dei propri studi, delle proprie riflessioni, della propria esistenza, per sé e al servizio degli altri, così: disinteressatamente.
Il libro è colto e non mancano accostamenti arditi e insoliti, come con la storia del marxismo, il pensiero di Loewith, l’opera di Drewermann, gli approdi più moderni della esegesi biblica, la concezione dell’evoluzione del cristianesimo secondo i paradigmi di Hans Kueng, certe tendenze ecologiste: “che è possibile avere la Terra per madre senza avere Dio per padre; che, anzi, il non avere Dio per padre è una ragione in più per avere la Terra come madre” (cit. p. 57). Non si tratta di pure congetture, di un procedere del pensiero per convinzioni astratte. E non mancano ironia e poeticità, modernità e desiderio di risalire alle origini: “non manca il coraggio di andare avanti: manca il coraggio di andare indietro, ritornare dove deviato: per avanzare davvero” (P. Jahier) si legge sulla soglia della prima parte. Tutto rendendo testimonianza di quello “scisma sommerso” già evidenziato da Pietro Prini, per approdare ad un “oltrecristianesimo” che non sia un post-cristianesimo. Quello che è passato in revisione è l’asse Dio-Cristo-Chiesa-Magistero-Dogmi-Sacramenti-Etica cattolica, senza dimenticare di confrontarsi con il nichilismo di Nietzsche o lo “allora tutto è lecito” di dostoevskijana memoria. L’approdo è coerente con le premesse e tutt’altro che banale.
Il libro è stato presentato in diverse occasioni e di recente all’auditorium della Rai di Palermo da Vito Mancuso (l’autore di “L’anima e il suo destino”), tra gli altri. L’incontro è ben riuscito ed è stato intriso di pensieri, emozioni, belle sensazioni, ed in conclusione ha lasciato la convinzione di non aver per nulla sprecato le due ore che ha occupato il 12 marzo scorso tra le 18 e le 20. Al di là del merito, Vito Mancuso ha voluto evidenziare i rischi di un’operazione qual è quella contenuta nel libro di Augusto Cavadi : una solitudine soggettiva e una solitudine oggettiva. La prima non è legata soltanto al vuoto che si crea attorno a idee così originali e rivoluzionarie, vuoto di consenso se vogliamo, ma al vuoto che circonda l’autore per aver voluto rinunciare a confortevoli convinzioni assai più accoglienti del vuoto che lascia la loro assenza. La seconda deve fare i conti con il rischio, non voluto, di favorire un approdo nichilista. Ma pur dinanzi a questi rischi e disagi si tratta di volere e dovere servire la verità sempre e comunque, anche attraverso voci dissonanti ma non per questo prevaricatrici, disposte a cambiare registro se sarà il frutto di un’attenta opera di convincimento logico-argomentativa.

Silvio Salanitri

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