Dal sito del “Gruppo solidarietà” marchigiano (www.grusol.it/informazioni.asp):
La consulenza filosofica e la cura dei malati gravi
Credo che ormai - dopo quasi dieci anni di rodaggio, equivoci e pasticci - sia maturata anche in Italia la stagione della chiarezza su chi sia davvero un filosofo-consulente. Se non si ha voglia di capire, si può continuare a scambiare questa nuova figura professionale con un surrogato dello psicoterapeuta o con un concorrente del prete: ma, se si vogliono aprire gli occhi, basta poco più di un’ora per informarsi correttamente. Si può leggere un tascabile di Davide Miccione (La consulenza filosofica, Xenia, Milano 2007) o un altro pocket di Neri Pollastri (Consulente filosofico cercasi, Apogeo, Milano 2007); se si ha qualche decina di minuti in più si può passare ad un libro non certo voluminoso, anche se firmato da dieci persone che raccontano qualcosa della loro esperienza di filosofi-consulenti, che l’editore Di Girolamo di Trapani ha edito nel 2008: Filosofia praticata. Su consulenza filosofica e dintorni.
Chi abbia a che fare con il mondo delicato e complesso della malattia - specie nelle sue modalità croniche e nelle sue fasi terminali - potrà trovare proprio in quest’ultimo testo una testimonianza particolarmente significativa, eloquente: Luisa Sesino, filosofa operante a Pinerolo (Torino), nel suo La consulenza filosofica nell’ambito delle cure di fine vita (pp. 107 - 122), evoca infatti volti e storie di malati a cui, per anni, ha offerto la possibilità di co-filosofare liberamente. Erano pazienti eccezionali, con due o tre lauree in materie umanistiche? Niente affatto! Erano uomini e donne ‘comuni’ che, proprio in quanto soggetti personali, hanno interrogativi esistenziali e non vogliono essere né ingannati né abbandonati. Cercano - talora esplicitamente, talaltra tacitamente - un interlocutore che li prenda sul serio, fuori dagli schemi pietistici o assistenzialistici. Un interlocutore con cui scambiarsi non citazioni dotte di grandi intellettuali del passato o del presente, bensì - più semplicemente e più coinvolgentemente - le proprie riflessioni, le proprie ipotesi, le proprie intuizioni e i propri dubbi. Antonio, un uomo settantenne ormai in fase terminale che nella vita si era occupato di ben altro, lo seppe dire con parole efficaci: “Quando sei alla fine t’interessa il senso. Ho un grande bisogno di verità che le persone che ho vicino non possono soddisfare. Li capisco: anch’io preferivo un bel bicchiere piuttosto che pensare a certe cose. Bisogna crescerci assieme. Imaparare a farlo da vecchi e malati, quando resta poco tempo, è più difficile. Ma sbagliavo credendo che fosse tardi: basta iniziare. Faccio fatica, perché non c’ero abituato, ma sto scoprendo delle cose davvero interessanti” (p. 107).
Che un filosofo si metta a disposizione di non-filosofi per affrontare questo o quel problema concreto, circoscritto, attuale è un valore aggiunto, per nulla incompatibile con l’eventuale decisione da parte dello stesso soggetto di chiedere (in altri momenti, con altri metodi e per altri fini) l’interlocuzione di uno psicoterapeuta o di un pastore d’anime. Proprio per le stesse ragioni per le quali una relazione psicoterapeutica o teologico-religiosa non può essere vissuta come un’alternativa alla relazione terapeutica del medico clinico.
Devo aggiungere, sia pur nel breve spazio di questo intervento che vorrebbe essere di avvio ad un dialogo più ampio e più duraturo (da svolgersi sia in queste pagine sia attraverso il mio blog personale: www-augustocavadi.eu), che a noi filosofi- consulenti è capitato anche di ricevere l’invito a conversare anche con persone che, pur non essendo ammalate, gravitano intorno a persone colpite duramente: o in quanto parenti o in quanto operatori sanitari. Nel corso del 2007 - 2008, ad esempio, ho potuto lavorare in sessioni di filosofia pratica con medici, infermieri, psicologi e assistenti sociali di una Onlus (Organizzazione non lucrativa di utilità sociale) di Palermo - che assiste a domicilio pazienti in fase terminale - su una tematica scelta proprio dai miei ‘committenti’: la visione di ‘morte’ che ciascuno di noi, di fatto, elabora. Ci siamo confrontati con alcune prospettive da cui è stata letta, lungo i secoli, la dimensione antropologica della ‘mortalità‘, seguendo come traccia il capitolo quinto (Interpretare la morte) del mio Quando ha problemi chi è sano di mente. Un’introduzione al philosphical counseling (Rubbettino, Soveria Mannelli 2003, pp. 31 - 55).
Sono solo degli spunti, degli accenni: sufficienti, spero, a far cadere certi pregiudizi e ad evitare che si finisca in mano (ci sono certamente pure questi!) a cialtroni che spacciano per consulenza filosofica la loro improntitudine. Un sito web dell’associazione professionale nazionale più autorevole (www.phronesis.info) può fornire, insieme a ulteriori informazioni, anche l’elenco dei consulenti ‘riconosciuti’ che operano in varie regioni del Paese.
Augusto Cavadi
acavadi@alice.it
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