“Centonove”
Venerdì 28 agosto 2009
Il romanzo “Sirena” dell’agrigentina Giusy Randazzo
LA PEDOFILIA OLTRE GLI STEREOTIPI
Un giallo senza delitti con trama imprevedibile per esplorare, senza pregiudizi moralistici, una dimensione ‘maligna’ dell’esperienza umana. Con queste sorprese.
Il setting psicoterapeutico sembrerebbe inventato per funzionare come ambientazione di pezzi di teatro da camera. Ma proprio la facilità con cui uno psicoterapeuta (cinquantenne e brizzolato) e una paziente (trentacinquenne e affascinante) possono trasformarsi in personaggi scenici rende altamente rischiosa ogni narrazione letteraria che li prescelga come protagonisti. Accostatomi con questa diffidenza al romanzo Sirena (Cieffepi - Erga, Genova 2008) della siciliana Giusy Randazzo, confesso di essere stato spiazzato da una trama per nulla prevedibile: spiazzato, rispetto alla pre-comprensione iniziale; catturato, poi, da una “magia maligna” dovuta alla suspense di un giallo senza delitti e, altrettanto, da una scrittura spudoratamente disarmata. Nuda.
La “magia maligna”, in realtà, non è solo l’atmosfera che attraversa i capitoli del racconto: ne è, più sostanzialmente, la vera protagonista. E’ infatti questa energia impalpabile, questa forza seducente, che domina i due antagonisti, determinandone vizi e virtù, pregi e difetti, esaltazioni e disperazioni. Sembrerebbe saggio non rivelare al lettore ignaro in cosa consista davvero questa misteriosa potenza psichica, ma nominarla non significa rappresentarla con l’intensità di toni e la varietà di colori che l’autrice mostra di saper manipolare a meraviglia: si tratta del fascino seduttivo che un bambino esercita - può esercitare - nei confronti di un adulto.
Probabilmente la nostra cultura non è ancora preparata per affrontare la questione ‘pedofilia’ con tutta la maturità scientifica e soprattutto sapienziale che gli interrogativi perturbanti impongono. Giusy Randazzo avrebbe potuto imboccare varie scorciatoie, una più disastrosa dell’altra: raccontare a fini edificanti la storia di una guarigione dai traumi infantili di un’adulta abusata; oppure condannare moralisticamente gli adulti insospettabilmente responsabili dell’abuso; oppure ancora - sarebbe stata un’idea commercialmente redditizia, suppongo - legittimare scandalisticamente l’esercizio della pederastia in nome del “politeismo dei valori” o del ritorno ad un sano paganesimo pre-cristiano…Invece, con un colpo d’ala, l’autrice tenta la via più ardua: rinunziare a schemi e schermi per cercare di scrutare le dinamiche segrete che si sviluppano fra un adulto (abusante) e un bambino (abusato). Dinamiche delle quali - prima di stabilire chi deve giocare il ruolo fisso di ‘vittima’ e chi di ‘carnefice’ - va riconosciuta la tragicità: nel senso greco, classico, del termine. Certe attrazioni infatti sembrano gestire i soggetti umani più che esserne gestite: ‘colpa’ e ‘danno’ si incrociano paradossalmente, al punto che raramente il ‘colpevole’ è immune dal dolore che arreca e la persona danneggiata indenne dal ’senso di colpa’ per aver scatenato gli impulsi più ciechi dell’abusante.
La consapevolezza della tragicità della relazione pedofila suggerisce - starei per dire impone - uno sguardo di pietà su tutti coloro che, a vario titolo, vi restano coinvolti. Una pietà che non esclude la necessaria articolazione di tutti gli altri approcci (l’analisi psicologica, le valutazioni legali, le considerazioni etiche, le strategie pedagogiche…), ma in qualche modo la fonda e la orienta: “Ricordo una volta un uomo in tribunale al banco degli imputati. Vidi il bambino che aveva dentro, i cui unici ricordi erano maltrattamenti fisici e abusi sessuali… Era come se avessi avuto davanti due bambini: due vittime. Non dimenticherò mai i suoi occhi. Erano identici a quelli del bambino violentato e sapevo che un giorno li avrei rivisti: e magari il carnefice questa volta sarebbe stato proprio quello che oggi riconoscevo come vittima”.
Una notazione a margine: il co-protagonista, lo psicanalista Andrea Matula, può anche essere interpretato come cifra della ricerca intellettuale ed esistenziale dell’autrice, presidente dell’AIP (Associazione italiana degli psicofilosofi). Andrea, infatti, con la sua intelligenza e con la sua dedizione professionale, incarna i pregi dell’approccio psicoterapeutico, ma con lo scacco finale che subisce di fronte al male oscuro della paziente-amante Lucia attesta anche i limiti di tale approccio. La sua vicenda testimonia la necessità che, nell’affrontare gli enigmi della vita, si faccia appello a risorse che vanno al di là della scienza psicoanalitica.