Apparsa il 15 giugno 2009 su
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Recensione di Giusy Randazzo
su Augusto Cavadi,
E, per passione, la filosofia
Di Girolamo Editore, Trapani 2006
Nel 1998, studiando Jacques Maritain, lessi anche un testo che forniva una chiave di lettura per“alcune delle sue pagine più intense ed eloquenti”. Si trattava di un’antologia commentata che aveva lo scopo di consentire al filosofo tomista, come sosteneva il suo autore, di autopresentare la propria avventura esistenziale e teoretica. In realtà ciò che di quel testo mi colpì non fu né la scelta antologica né la chiave di lettura che di volta in volta veniva proposta, ma lo stile filosofico dell’autore, Augusto Cavadi, e la sua percezione del filosofare:
“La Filosofia è nata e si è arditamente propagata perché, prima di diventare proprietà privata dei professori, è stata un’esperienza esistenziale confidata da un testimone all’altro.[…] Purtroppo, però, la maggior parte di noi non ha tanta fortuna. L’iniziazione filosofica avviene mediante lezioni, libri, corsi universitari, seminari di studio, conferenze[…] Prevedibile, dunque, che simile studio della filosofia debba annoiare o, tutt’al più, incuriosire, senza trasformare intellettualmente ed eticamente chi vi si dedica. […] Che fare per ovviare agli inconvenienti di questa metodologia libresca e tendenzialmente nominalistica che rischia d’impoverire, anzi di snaturare del tutto, il significato dell’attività filosofica, riducendola se mai ad apprendimento d’idee archeologicamente interessanti oppure solo funzionali alla prassi politica?”
La risposta implicita di Cavadi era, sì, una sorta di appello ai filosofi di socializzare la loro conoscenza rinunciando alle lezioni catechetiche (come un tempo, Cavadi, aveva visto fare a Joseph de Finance che, anziano, trascorse qualche ora, nell’aula magna di un liceo, pronto e vivacissimo nel rispondere alle domande di un centinaio di studenti, attenti e raccolti come poche altre volte), ma anche di rivedere il valore e la natura della filosofia.
Fin da allora, Cavadi ricordava, che la filosofia in un certo senso non “serve” a niente (è, infatti, per costituzione, libera da presupposti e non si lascia piegare a strumentalizzazioni politiche o sociali o religiose), ma, in un altro senso, serve a tutto. Nella misura in cui si offre come momento di consapevolezza razionale, infatti, la filosofia consente non di fare “di più”, ma di compiere “meglio” le proprie azioni.
Nessuna sorpresa, dunque, quando nel 2006 Augusto Cavadi pubblica E, per passione, la filosofia e aggiunge il seguente sottotitolo: Breve introduzione alla più inutile di tutte le scienze.
Sull’utilità della filosofia, d’altronde, si è scritto tanto e la maggior parte dei filosofi concordano nel ritenere che non sia produttiva di alcunché. Martin Heidegger sosteneva che -è quanto mai esatto e perfettamente giusto dire che la filosofia non serve a niente-. Che la filosofia non abbia carattere strumentale lo ritiene anche Umberto Galimberti, che, a tal proposito, ne Il tramonto dell’Occidente, cita Heidegger, mentre ne Il gioco delle opinioni, riferisce di una risposta che si suole ritenere di Aristotele ovvero che “la filosofia non serve a niente perché non è una serva”. Aristotele in effetti scriveva nella Metafisica che la filosofia, consapevoli anche i primi filosofi, non ha alcuna utilità pratica -Ὄti δ’ οὐ ποιητική, δῆλον καὶ ἐκ τῶν πρώτων φιλοσοφησάντων˙- (Che poi la filosofia non sia produttiva, è manifesto anche ai primi pensatori filosofici- Metafisica, A 2, 982 b11).
Cavadi riprende Aristotele sin dall’inizio della sua argomentazione, riportando le parti più significative del capitolo 2° del I libro della Metafisica, in cui lo stagirita rimarca la libertà della filosofia, che non è asservita ad altro in quanto fine a se stessa, per tal motivo, se anche tutte le altre discipline possono considerarsi più necessarie della filosofia, nessuna le è superiore. A questo punto, è evidente che, se il convincimento della sua inutilità bastasse a dir tutto o in massima parte sulla filosofia, commetteremmo un sacrilegio; scriveva, infatti, Heidegger: “L’errore è soltanto di credere che, con questo, ogni giudizio sulla filosofia sia concluso.”
Tant’è che Augusto Cavadi non conclude affatto, tutt’altro: apre nuovi orizzonti nel filosofare, fornendo a ogni lettore la possibilità di entrare dentro le grandi tematiche filosofiche attraverso l’utile mediazione del filosofo, per prendere consapevolezza del proprio essere-nel-mondo, per rispondere alla propria domanda di senso, per osservare quanto di universale c’è nella propria vita particolare. E lo fa con un linguaggio attento, ma alla mano, che non dimentica di essere filosofico, di produrre meraviglia, anche ritraendosi delle volte o usando l’ironia o la battuta o semplicemente l’umiltà. D’altronde, come l’autore stesso, ci ricorda, il filosofo, pur riconoscendo la sua incompetenza professionale quando si tratta di lenire sofferenze psichiche o dirimere controversie amministrative, può offrire il proprio apporto ed essere invitato al tavolo degli esperti settoriali […] senza alterigia né complessi di inferiorità, per favorire la comunicazione fra gli interlocutori e per sollecitarli a guadagnare un altro punto di vista. Ma il filosofo soprattutto eviterà che ci si addormenti su luoghi comuni, soluzioni scontate e situazioni sclerotizzate. D’altronde non si filosofa soltanto per soddisfare la propria curiosità intellettuale, che già di per sé è una buona ragione poiché ci libera dalle catene dell’ignoranza, ma anche per interpretare diversamente la realtà, per cogliere, ad esempio, un senso nel dolore, che può fare la differenza tra cedere alla disperazione e resistere. Non è abbastanza? La filosofia “serve” anche a decondizionarci dall’educazione ricevuta, in modo da dare anche a chi è nato in Iran la possibilità di morire confuciano, a chi è nato in Cina la possibilità di morire islamico, a chiunque di morire ateo. […] La filosofia non insegna a cancellare le differenze, ma a vedervi delle risorse piuttosto che delle minacce.
In E, per passione, la filosofia, Cavadi, dà dunque delle buone ragioni (in chiave autoironica aggiunge un punto di domanda accanto a “buone”) per occuparsi della filosofia. In quel primo testo, di cui si diceva all’inizio (Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998), aveva già offerto un suggerimento a coloro che volessero avvicinarsi alla filosofia: -Il modo migliore per accostarsi alla filosofia sarebbe d’incontrare un filosofo in carne ed ossa ed entrare nella cerchia dei suoi amici più cari-.
Io l’ho fatto.
Bibliografia
Aristotele, Metafisica, Rusconi Libri (G. Reale, a cura di), Milano 1993
A. Cavadi, Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998
A. Cavadi, E, per passione, la filosofia, Di Girolamo Editore, Trapani 2006
U. Galimberti, Il tramonto dell’Occidente nella lettura di Heidegger e Jaspers, Feltrinelli Editore, Milano 2005
U. Galimberti, Il gioco delle opinioni, Feltrinelli Editore, Milano 2004
M. Heidegger, Einführung in die Metaphhysik (1935-1953); tr. it. Introduzione alla Metafisica, Mursia, Milano 1968
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