“Repubblica - Palermo”
8 maggio 2009
DALLA PSICOLOGA ALLA MILITANTE
QUEL CHE LE DONNE DICONO
Che ne è della condizione femminile in Sicilia? Ci sono molti modi per rispondere, ma il più semplice è dare la parola ad alcune donne siciliane. Come ha fatto la sociologa Maria Coppa in un agile, prezioso volumetto (Mi ricordo…Storie di vita di donne siciliane, Aracne, Roma 2008) con lo scopo di “riavvolgere quel file rouge che si è snodato, spesso sotterraneamente, nella realtà palermitana degli ultimi 30 anni, con l’apporto degli strumenti della ricerca sociologica qualitativa”. “Ci sono, secondo me, tre tipi di donne: le ‘bambole’ che si appoggiano agli uomini, che da sole non sono capaci di far niente; quelle che assumono il modello ‘maschile’ per realizzarsi e diventano anche peggio degli uomini; infine, quelle che vogliono realizzarsi restando se stesse, utilizzando cioè la propria sensibilità, senza cambiare, senza diventare qualcos’altro, mantenendo inalterate quelle caratteristiche (rispetto altrui, tenerezza, comprensione) che dovrebbero essere qualità di tutto il genere umano e non appannaggio delle sole donne”: così T.P., una docente universitaria palermitana in pensione, sintetizza la sua visione nel corso del racconto della propria “storia di vita”. E’ uno dei sette racconti che non pretendono di essere più che un frammento di un mosaico ancora tutto da costruire: ma un frammento che evoca, soprattutto nei lettori che le hanno vissute, delle atmosfere - non certo prive di confusioni e di contraddizioni, eppure vive e palpitanti - che, lontane di anni, sembrano invece remote di secoli. E’ vero che il ritmo della storia si è accelerato e che in trent’anni la società è cambiata quanto, sino agli anni ‘70, nei trecento anni precedenti!
Prendono la parola donne di indubbia personalità, ma dai percorsi esistenziali più variegati: dalla militante comunista che si trova a diventare per due legislature di seguito sindaco di un Comune ad altissima intensità mafiosa (e sperimenta l’isolamento dei concittadini impauriti dai Brusca e dai loro complici) alla psicologa-scrittrice che, a 25 anni, si trova a fondare a Roma una casa editrice incandescente come la Samonà - Savelli (e a giudizio della quale alle donne non dovrebbe interessare “il fare politica per ottenere il potere”, quanto tendere a diventare “esseri politici”); dalla casalinga (che rimprovera i cristiani di aver schiacciato la figura della donna in contraddizione con l’esempio rivoluzionario di Gesù stesso) alla pittrice e naturopata (che rinunzia all’impiego in banca dopo aver constatato che in quell’ambiente “volgare, fatto di battute e di doppi sensi”, la mattina i colleghi maschi “salutavano le gambe, non le persone”, soppesando le donne “per il corpo fisico, non per quello che eri, o che dicevi”). Nel racconto della settima, ultima, interlocutrice riemerge un motivo toccato già in testimonianze precedenti: l’attitudine femminile a cercare la consapevolezza delle proprie scelte. M.V.C, insegnante e pittrice, a un certo punto dichiara: “Sento che ogni giorno si fanno delle scelte, anche nelle piccole cose quotidiane, anche quando compro qualcosa. Per ogni azione mi chiedo: ‘Questo cambia il senso della mia vita?’. Spesso compravo delle cose inutili, adesso credo che siamo malati, facciamo quello che gli altri vogliono, come nell’abbigliamento, ci lasciamo condizionare dalle ‘mode’. Credo proprio che in questo periodo nessuno viva una buona ‘qualità‘ della vita”. Ed anche questa consapevolezza dei gesti quotidiani è ‘politica’.
“Come pratica politica le donne sono molto avanti, ma come storia scritta c’è poco, soprattutto in Sicilia e questo lo abbiamo rilevato anche come UDI, confrontandoci con il ‘femminismo’ nazionale. C’è una grossa capacità di fare, ma poca capacità di raccontare. E’ il problema della parola”: così D.D., docente in pensione ed ex deputata al Parlamento italiano. E’ una constatazione, ma può diventare una proposta di lavoro per i prossimi mesi.
Augusto Cavadi
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