“Centonove”
8 maggio 2009
GENERAZIONE ZETALAB
Spesso dietro - anzi dentro - i fatti di cronaca si celano significati più profondi. L’episodio, apparentemente minore, dello sfratto inviato al “Laboratorio Zeta” di Palermo rientra fra questi casi emblematici. Esso si può leggere, infatti, dalla prospettiva del codice civile: ed è una prospettiva di competenza degli avvocati e, in ultima analisi, della magistratura, la quale soltanto potrà stabilire se l’uso di certi locali di via Boito 7, di proprietà dell”Istituto Autonomo Case Popolari, debba restare ai soci del centro sociale che li gestiscono da quasi dieci anni o piuttosto passare ad un’altra associazione (”Aspasia”) di cui nessuno può, sino a prova contraria, mettere in dubbio la legittimità d’intenti. Ma la stessa vicenda dell’ingiunzione di sgombero può essere letta da una prospettiva sociale: ed è una prospettiva che interpella la responsabilità dell’opinione pubblica, dei dirigenti politici e degli amministratori. Sì, perché Palermo soffre - non meno di altre metropoli europee - la questione giovanile: e non può permettersi di azzerare, con un colpo di spugna, uno dei pochi tentativi riusciti di affrontarla.
Per questione giovanile intendo, molto semplicemente, ciò che ciascun genitore, insegnante, educatore sperimenta quotidianamente: ogni generazione stenta, un po’ più della precedente, a socializzare. O, per lo meno, a socializzare in maniera costruttiva e con finalità progettuali. Tutta una serie di strumenti elettronici ed informatici - sulle cui potenzialità positive sarebbe da ipocriti tacere - comportano, come effetto collaterale indesiderato, una sorta di pedagogia dell’isolamento: si è fortemente tentati di difendere il proprio guscio individuale accontentandosi di rapporti virtuali che aggravano la propria solitudine proprio perché danno l’illusione di uscirne. L’accesso a mille canali per comunicare (dai cellulari ad internet) maschera l’incapacità del contatto diretto, personale: o, per lo meno, la mancanza del gusto di incontrare l’altro nella concretezza della sua fisicità. Il risultato è deprimente: fasce giovanili sempre più consistenti pendolano fra la noia e il sogno di entrare in qualche fattoria televisiva, sprecando meravigliose potenzialità di vita intensa (per sé) e feconda (per gli altri).
il Laboratorio Zeta ha costituito - e non solo per i più giovani - un esperimento di aggregazione in contro-tendenza. Come tutti gli esperimenti umani, ha conosciuto successi e fallimenti, pregi e difetti, adesioni e critiche: ma è stata, ed è, una realtà viva, autenticamente viva. Lo possono attestare quelle centinaia, anzi migliaia di cittadini che lo hanno frequentato: per anni, per mesi o anche solo per una sera di musica. Dal
2001 uno stabile abbandonato è stato restituito alla fruizione pubblica, divenendo laboratorio di
sperimentazione culturale e di partecipazione sociale e politica: uno spazio frequentato da persone in
prima linea nelle lotte per il diritto alla casa, la difesa dei beni
comuni, i diritti dei migranti, la denuncia del sistema di potere
affaristico-politico-mafioso…
Gratis, o a costi bassissimi, sono stati offerti alla città spettacoli
teatrali, presentazioni di libri e di video, concerti, rassegne
cinematografiche, seminari, dibattiti, mostre fotografiche e
pittoriche, corsi di informatica, corsi di italiano per stranieri,
l’accesso ad una biblioteca con più di 2000 volumi.
Come se ciò non bastasse, il centro sociale di via Boito è diventato un punto di riferimento, stabile o di
passaggio, per centinaia di migranti di ogni nazionalità che hanno
collaborato alla trasformazione e alla gestione degli spazi,
sperimentando una forma di accoglienza lontana da logiche
paternalistiche ed assistenziali. In una lettera aperta un nutrito gruppo di intellettuali ed operatori sociali tiene ad esternare preoccupazione e solidarietà: “Tutti noi abbiamo vissuto
il Laboratorio Zeta.
Lo
abbiamo attraversato ed ha attraversato le nostre vite.
Con lo Zetalab abbiamo
contribuito alle battaglie per la libertà ed i diritti degli
esclusi, promuovendo centinaia di iniziative.
In otto anni di storia lo
Zeta ha restituito uno spazio pubblico nel quale la dimensione locale
e le dinamiche globali sono state raccontate ed intrecciate in un unico vissuto”.
Solo alcuni giorni fa un migliaio di cittadini - anche a nome di tanti altri che il lavoro, l’età, la malattia, la disinformazione hanno tenuto lontano dalla manifestazione - sono scesi in piazza per chiedere all’amministrazione di dare una decisa inversione di marcia alla lenta agonia di Palermo oppure di gettare la spugna e passare ad altri il timone. Oggi il sindaco, la giunta, le autorità pubbliche che possono interagire con l’amministrazione comunale hanno la possibilità di dare un segnale: in attesa di inventare il nuovo, contribuire a non spegnere un lumicino fumigante che sinora ha reso meno buia la notte della nostra città.
Augusto Cavadi
Nessun commento:
Posta un commento