“Repubblica - Palermo ”
22. 5. 09
COMUNE, UNA SCELTA CIVILE PER LA COMUNITA’ ROM
Gli ‘zingari’ e la città di Palermo: una convivenza possibile? E’ solo un esempio dei tanti interrogativi a cui politici e opinione pubblica tendono a dare risposte sempre più semplificate. E, perciò, sempre meno azzeccate. Sbagliato è infatti negare che si tratti di una convivenza difficile: le tradizioni culturali, gli usi e i costumi, i parametri etici di riferimento della gente Rom sono molto differenti dalle consuetudini e dai valori dei siciliani. La situazione è ulteriormente complicata dal fatto (su cui raramente si riflette) che, proprio come ci siamo siciliani molto differenti da altri corregionali, così i nomadi che fanno sosta (anche per anni) nelle periferie delle nostre città sono attraversati da differenze non meno rilevanti.
Non meno sbagliata, d’altronde, è la risposta (propugnata dagli schieramenti conservatori, se non francamente reazionari) di chi riconosce l’oggettività del problema, ma tende a eliminarlo: negando ai Rom e ai Sinti (molti dei quali sono ormai in Sicilia da generazioni e vivono in maniera itinerante o perché non riescono ad acquistare casa o perché lavorano nel mondo dei circhi, delle giostre, dei giochi di strada) qualsiasi diritto civile. E’ la solita risposta delle fasce arretrate, mentalmente chiuse, della popolazione: la risposta di chi maschera paura del diverso e incertezza sulla propria identità con atteggiamenti violentemente prevaricatori.
Pochi sanno che proprio Palermo è una città dove, da almeno cinque anni, si tentano vie nuove, al di là della faciloneria buonista e della drammatizzazione aggressiva. Decine di operatori, per lo più giovani uomini e donne appartenenti all’Arci, hanno infatti progettato e realizzato un programma di iniziative organiche mirate a rapportarsi con le famiglie dei nomadi del Parco della Favorita in maniera adulta. Responsabile, ma anche responsabilizzante. Il racconto di queste buone prassi, che hanno visto il coinvolgimento più o meno convinto ed efficace di varie istituzioni pubbliche (a cominciare dall’Assessorato comunale alle attività sociali che ha finanziato le iniziative dell’Ufficio Rom ), è affidato ad un dossier che è stato presentato e distribuito nel corso di un incontro pubblico svoltosi ieri presso la facoltà di lettere. E non è di poco conto che hanno aperto l’incontro Santino Spinelli (un rom, saggista e cantautore, che tra l’altro insegna all’università di Chieti), Nazzareno Guarnieri (anche lui rom abruzzese che presiede una federazione nazionale di gruppi Rom e Sinti) e Hasan Salihi, musicista kossovaro. Quest’ultimo, che è anche rappresentante del campo nomadi di Palermo, presenterà per l’occasione l’associazione per la promozione della cultura Rom “Phralipe” (’Fratellanza’) a cui ci si potrà rivolgere per commissionare prodotti di artigianato e di gastronomia tipici, nonché ovviamente spettacoli di musica e danza (come quello che costellerà le diverse fasi della manifestazione cittadina).
Come si potrebbe tradurre in lingua italiana il termine ‘rom’? Molto semplicemente: ‘uomo’. Ed è un nome in cui potrebbe riassumersi il criterio di base per le difficili scelte politiche ed amministrative che riguardano queste persone, la cui colpa principale è di essere troppo diversi da quanti abbiamo deciso di autoproclamarci ‘normali’. Difficili scelte, certamente: in ogni caso preferibili alla linea - sin qui seguita da diverse amministrazioni palermitane - di volgere altrove lo sguardo senza dire né sì né no. Gli si è concesso “provvisoriamente” (da vent’anni !) di occupare uno spazio pubblico a ridosso degli impianti sportivi della città: da lì non li si è più ‘cacciati’ (come chiedono con ossessiva ricorrenza alcuni gruppi ‘fascisti’, se non altro per dimostrare a sé stessi di esistere), ma - trattandosi di una zona protetta in quanto riserva naturale orientata - non li si è neppure regolarizzati, predisponendo quei servizi idrici ed igienici essenziali ad una vita decorosa, anche per i bambini che continuano a nascere e a crescere tra le fogne a cielo aperto e le colline d’immondizia. Come in tanti altri casi, siamo riusciti a trasformare una possibile risorsa di arricchimento e di pluralismo in una ferita al tessuto sociale della città. Forse da oggi l’amministrazione cittadina (che ha già dato più volte segnali di attenzione grazie ad alcuni funzionari più sensibili) sarà invogliata ad imboccare finalmente la strada di una soluzione meno precaria. E più civile.
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