Repubblica - Palermo 14.2.08
QUEL BOSS ATIPICO, ATEO E LATINISTA
Nella viva speranza che la notizia venga smentita da un’ora all’altra, Matteo Messina Denaro è uno degli ultimi capimafia identificati ancora in latitanza. Molti indizi lascerebbero supporre che, dopo i grandi arresti degli ultimi anni, abbia un ruolo decisamente egemonico nella variegata famiglia delle famiglie di “Cosa nostra”. Ma chi è davvero questo boss? Cosa pensa della vita, della morte, della giustizia, della famiglia?
Dal 2004 al 2006 egli si è confidato epistolarmente con un amico di famiglia, Tonino Vaccarino, già sindaco DC di Castelvetrano dal 1982, poi detenuto dal 1992 al 1999, infine probabile collaboratore dell’ex SISDE e promotore di una corrente dell’UDC da lui battezzata - “con non poca impudenza” ma con indubbio senso dell’humour - “Riarmo morale”. Cinque di queste lettere sono state rese pubbliche dalle autorità giudiziarie; le ha pubblicate nell’aprile 2008 il benemerito mensile “S”; infine Salvatore Mugno, poligrafo trapanese di ampi interessi ma mai disattento alle vicende siciliane, le ha riedite in un piccolo, denso volume (M. Messina Denaro, Lettere a Svetonio, Stampa Alternativa / Nuovi Equilibri, Viterbo 2008, pp. 128, euro 12) impreziosito da una dotta introduzione (Quel killer è uno scrittore!) e da istruttive note esplicative.
Che cosa offre questa strana antologia rispetto a raccolte simili di scritti e pizzini vari vergati da altri autori della stessa…corrente letteraria? Ognuno ci coglierà spunti diversi, a seconda del punto di vista e degli interessi con cui si accosterà alla lettura. Personalmente sottolineerei due caratteristiche originali.
La prima è, per così dire, di ordine stilistico: tra Messina Denaro e Provenzano, ad esempio, c’è un abisso quanto a padronanza della lingua. Già i soli pseudonimi scelti (per sé, Alessio; per il destinatario delle lettere, Svetonio, lo scrittore latino vissuto a cavallo fra il I e il II secolo d. C. , segretario personale dell’imperatore Adriano) la dicono lunga sulla cultura generale di Matteo-Alessio, definito in una certa occasione da Andrea Camilleri “il latinista del gruppo”. Non che manchino gli strafalcioni grammaticati ed ortografici, ma nel complesso siamo davanti a testi redatti “in buon italiano”.
La seconda caratteristica è di ordine contenutistico: il capomafia latitante esprime una filosofia ‘atea’, palesemente nichilista. Leggiamo: “Ci fu un tempo in cui avevo la fede, poi ad un tratto mi resi conto che qualcosa dentro di me si era rotta, mi resi conto di aver smarrito la mia fede, ma non ho fatto nulla per ritrovarla. In fondo ci vivo bene così. Mi sono convinto che dopo la vita c’è il nulla e sto vivendo per come il fato mi ha destinato”. Come nota Massimo Onofri, dell’università di Sassari, “dopo tante varianti di boss religiosissimi, se non superstiziosi, vissuti in clandestinità tra crocifissi e santini di padre Pio, ridicolmente bacchettoni, siamo alla prima devastante dichiarazione di ateismo e materialismo mai pronunciata da un mafioso. E devastante perché mette davanti agli occhi dei fedeli di cosca l’immagine d’una vita che, per quanto vissuta al vertice di Cosa nostra, appare ormai per quel che è: vita di niente, puro disvalore. Dichiarazione che si fa di più acuta disperazione se affiancata alla punta di un rimorso ormai lancinante”. Non è il rimorso per gli omicidi e i soprusi perpetrati (”Ho fatto della correttezza la mia filosofia di vita e spero di morire da uomo giusto, tutto il resto non ha più valore”), bensì per aver sacrificato all’altare della mafia le relazioni di amicizia e gli stessi affetti familiari. Che il futuro ci possa riservare la gradita sorpresa di un uomo intelligente che si ‘pente’ davvero e non solo quando gli sono precluse altre vie d’uscita per salvare il salvabile?
RIQUADRO:
Salvatore Mugno vive e lavora a Trapani. Ha pubblicato inchieste giornalistico-giudiziarie (Mauro è vivo; Mecca maledetta); raccolte di suoi racconti (In ogni buco della città); biografie (L’italiettano. Storia umana e giudiziaria di Cizio-Margutte, Mauro Rostagno story. Un’esistenza policroma, Il pornografo del regime. Erotismo e satira di Mameli Barbara); romanzi (Opere terminali, Il biografo di Nick La Rocca, Il pollice in bocca); saggi critica letteraria (Novecento letterario trapanese); traduzioni dal francese dei poeti tunisini Mario Scalesi (Les poèmes d’un Maudit) e Moncef Ghachem (Nouba). L’ultima sua fatica risale a pochi mesi fa: l’edizione italiana de I canti della vita, capolavoro di Abu’l Qasim ash-Shabbi (1909 - 1934), considerato il maggior poeta tunisino del Novecento.
Il mensile “S” (”Il magazine che guarda dentro la cronaca”) esce dal gennaio 2008 ed ha edito, a fianco della rivista, dei volumi monografici in cui alcuni temi vengono ripresi, anche con il corredo di più ampia documentazione. Ultimo della serie: Vincenzo Marannano, Firmato Lo Piccolo. Le carte che hanno inchiodato il superboss, introduzione di Giosué Marino, Novantacento, Palermo 2008, pp. 220, euro 7,90.