sabato 6 dicembre 2008

L’OMELIA DI DOMENICA 21 DICEMBRE


“Adista” 6.12.2008

CONCEPITO PER ESSERE SACRAMENTO

Luca 1, 26 . 38

La lettera del racconto è arcinota, soprattutto negli ambienti cattolici: una “vergine” (il vocabolo greco equivale, perfettamente, a ‘ragazza’) che non “conosce uomo” (ossia non ha avuto rapporti sessuali completi con un maschio) riceve l’annunzio strabiliante che diventerà madre di un bimbo grazie alla “potenza dell’Altissimo”. Sulla base del testo, tutti noi siamo stati messi sin da bambini davanti al bivio: credere (e dunque accettare il prodigio di una partenogenesi) o non credere (e dunque ritenere che Gesù di Nazareth, “in tutto uguale a noi fuorché nel peccato”, sia stato concepito da Maria attraverso le dinamiche fisiologiche ordinarie, dal momento che queste non implicano di per sè nessuna peccaminosità).

Ma viste dal punto di vista del narratore - l’anonimo redattore del vangelo di scuola lucana - le cose stanno proprio così? Davvero la sua intenzione era di scegliere l’integrità di un imene femminile (”prima, durante e dopo il parto” specificherà con esattezza clinica la dogmatica magisteriale) quale criterio di distinzione fra credenti fedeli e miscredenti infedeli? La risposta è impressionantemente affermativa sia negli ambienti ecclesiali a corto di studi biblici sia, per il medesimo difetto di approfondimento, negli ambienti più aggressivamente ‘laici’. Ma gli esegeti, protestanti e cattolici, più aggiornati e meno diplomatici concordano nell’insegnare che “la finalità principale non è quella di descrivere dei fatti, ma di presentare un’interpretazione”; che “l’apice e il centro logico del nostro racconto sta nella frase: ’sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo’ “; che “l’affermazione del concepimento per opera dello Spirito (…) non vuol rappresentare una diretta affermazione di fede: non è autonoma, ma possiede piuttosto la duplice funzione di sottolineare e spiegare la connotazione di Figlio di Dio” (Gerhard Lohfink). Dunque - come conclude l’illustre biblista in un prezioso volumetto rintracciabile gratuitamente in internet (http://xoomer.alice.it/robecres/Gerhard%20Lohfink) - il genere letterario del racconto consente solo di ricavare una confessione di fede in Gesù Messia: “tace su altre eventuali circostanze e sarebbe andar contro l’intenzione del testo se volessimo ricostruire da esso un evento storico”.
Liberata da false alternative, la nostra libertà davanti al messaggio riacquista tutta la sua serietà: vogliamo accettare che il Cristo entri nella nostra storia, personale e sociale, come Sacramento efficace di una potenza e di una bontà divine che solitamente ci restano celate? E, poiché Egli è una cosa sola con la causa di Dio, vogliamo entrare nel solco da lui avviato e prestare intelligenza, cuore e braccia affinché l’impossibile della sincerità, dell’equità, della tenera compassione per chi è stato privato di qualcosa di necessario…diventi possibile? Vogliamo accogliere l’invito ai “bambini” di Gianni Rodari a “fare le cose difficili: parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco”; anzi, a tentare le impossibili: “cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi”? Se rispondiamo di sì, possiamo ritenerci credenti. E se siamo donne, possiamo volgere lo sguardo al nostro grembo fecondato - o fecondabile - attraverso un amplesso passionale senza nessun complesso di inferiorità rispetto alla madre del Nazareno. Invece, se non fossimo ancora pronti a dire il nostro ‘amen’ a questa proposta utopica (non: ad esserne praticamente all’altezza, perché essa sarà sempre un po’ oltre la nostra coerenza) - anche se dovessimo ritenere che davvero gli angeli si trasferiscono da una parte all’altra dell’universo e una ragazza è stata ingravidata in Palestina duemila anni fa senza essere neppure sfiorata dal fidanzato - faremmo meglio lo stesso a non dirci cristiani.

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