“Adista” 29.11.2008
QUALE TESTIMONIANZA
Giovanni 1, 6 - 8. 19 -28
Come notano gli esegeti, questi due brani del primo capitolo del vangelo secondo Giovanni sono “martellati” dal vocabolo ‘testimonianza’. Ci sono dei periodi storici in cui - per fortuna ma più ancora per sfortuna - prediche roboanti e comizi infuocati fanno effetto. In altri periodi, invece, la trasmissione ex cathedra (ed ex tribuna) non funziona altrettanto efficacemente. Sono fasi della storia in cui la gente sembra, o è davvero, impermeabile alle proclamazioni di fede solenni e agli slogan di partito gridati. Sono i momenti in cui dalla trasmissione ‘unilaterale’ (da un centro ‘emittente’ ad una platea di ‘recettori’ passivi) occorrerebbe passare alla comunicazione ‘biunivoca’ ( che, come ricordava Danilo Dolci nei suoi seminari, proprio in quanto comunicazione non può essere - per definizione - “di massa”). Non solo: in questi frangenti storici la comunicazione più efficace non è la ‘diretta’ ma, secondo la felice espressione di Kierkegaard, la ‘indiretta’. Ti parlo, ma tu mi ascolti più volentieri se - anziché rivolgermi a te verbalmente - ti racconto la mia storia. Ti mostro la mia esistenza. Ti testimonio quello in cui credo, e che vorrei comunicarti con amore, attraverso ciò che sono e ciò che faccio.
Anche se alcune chiese cristiane (ma temo che l’osservazione valga anche per alcune comunità ebraiche e islamiche) non mostrano di essersene accorte, stiamo attraversando una fase del genere: nelle questioni vitali, il discorso più convincente si configura più come testimonianza che come argomentazione retorica. I grandi messaggi religiosi si diffondono solo se, e quando, alcuni credenti riescono a comunicare confidenza nel Mistero, gusto della contemplazione, senso della giustizia, sete di libertà, servizio a chi è stato spossessato…mediante il linguaggio della loro esemplarità ordinaria. Per queste ragioni la figura di Giovanni il Battista è oggi di particolare attualità. Di attualità, ma non di moda: perché - come evoca il vocabolo greco che traduciamo con ‘tetsimonianza’: martirio - vivere ciò che si crede vero e giusto ha un suo prezzo. Non è un caso che, quando si sperimenta il costo di vivere come si ritiene corretto, spesso si finisce col preferire l’inverso: ritenere corretto il modo in cui si vive. Giovanni il Battista non è stato né il primo né l’ultimo a pagare con la testa la fedeltà ai suoi princìpi.
Gli esseri umani siamo così strani che riusciamo, però, a guastare tutto ciò che tocchiamo. Così persino il primato della testimonianza operosa sulla predicazione verbale - primato per tanti versi apprezzabile e fruttuoso - cova in seno i suoi terribili rischi. Primo fra tutti il rischio di enfatizzare la coerenza con sé stessi al punto da ritenenere secondario, anzi trascurabile, il grappolo di valori rispetto ai quali ci si sforza di vivere consequenzialmente. Cosa sono gli integralismi violenti, i fondamentalismi aggressivi - di ogni colore e di ogni bandiera (anche a stelle e striscie) - che infestano il panorama politico contemporaneo, se non tragici esempi di ideali incarnati sino alle estreme conseguenze? Dai piloti giapponesi nel corso della seconda guerra mondiale ai giovanissimi militanti islamici odierni, passando per tutta una serie di cristiani che sacrificano cervello e cuore sull’altare della obbedienza alla volontà dei capi che si spacciano per portavoce di Dio stesso, il mondo pullula di persone che rovinano sè stessi e gli altri in nome del ‘martirio’. Per questo, probabilmente, il vangelo insiste su ciò per cui vale la pena farsi testimoni: “la luce”. Ogni testimonianza va misurata sul grado di coerenza di cui è capace il testimone, ma anche - e prima ancora - sulla validità intrinseca di ciò che egli condivide e intende comunicare: sulla luminosità ‘oggettiva’ (o, per lo meno, intersoggettiva) dei valori per cui si spende. I tiepidi sono un peso per la storia dell’umanità, ma molto più dannosi i martiri che non hanno maturato a sufficienza (mediante un’adeguata informazione, una ponderata riflessione , uno schietto confronto con gli altri, una critica attenzione ai segni dei tempi…) la scelta della causa per la quale vivere e, se proprio necessario, morire. Ma mai uccidere.
Nessun commento:
Posta un commento