“Centonove”
24.10. 2008
MA PALERMO NON E’ LA TERRA DI NESSUNO
Sabato 11 ottobre è stata una giornata di manifestazioni nazionali anti-governative di cui la stampa ha dato notizia. Per la stessa data il centro sociale autogestito Ex-Karcere all’Albergheria di Palermo aveva organizzato una manifestazione nazionale dei centri sociali omologhi di cui quasi nessuno ha parlato, anche perché - nonostante le aspettative dei promotori e nonostante le loro dichiarazioni sul numero dei partecipanti - ha coinvolto soltanto tre centinaia di giovani.
L’editoriale di Francesco Palazzo sullo scorso numero di “Centonove” ha offerto preziosi elementi di informazione e di riflessione che - forse - meritano d’essere ripresi ed integrati, anche in un’ottica prospettica.
Innanzitutto va notato che, a discapito dei timori della vigilia, il corteo del centro sociale si è svolto senza incidenti e senza danni, né a persone né a cose: ed è una notizia che fa onore sia ai manifestanti che alle forze dell’ordine. A conferma del fatto che in
democrazia cortei, manifestazioni di piazza, occupazioni simboliche sono momenti fisiologici e solo chi manca di una cultura politica elementare - avendo comprato con soldi di origine dubbia le leve del potere politico - può ridicolizzarsi ritenendoli patologici.
Ma, subito dopo, va aggiunto che le questioni alla base dell’iniziativa restano tutte sul tappeto (a Palermo, ma analogamente in tutte le grandi città siciliane) e si aprono diversi scenari.
Per l’amministrazione comunale, e più in generale per l’opinione pubblica benpensante di cui questa giunta è legittima rappresentanza, “passata la festa, gabbato lo santo”: il corteo dei centri sociali è stato solo una minaccia temporanea all’ordine pubblico, fortunatamente sventata, e non resta che prepararsi ad una prossima riedizione, sperabilmente lontana nel tempo. Nella convinzione che in fondo si tratti di fenomeni generazionali e, perciò, in attesa che i contestatori di oggi diventino - con gli anni - i borghesucci moderati di domani.
Diversa, ma non molto, la prospettiva dei protagonisti della protesta. In molti di loro, se non in tutti, agisce una forte ispirazione anarchica. L’anarchia è uno degli ideali più nobili che siano stati prodotti sinora dall’umanità: ma c’è l’anarchia di chi pensa al superamento delle strutture statuali al culmine di un processo di maturazione individuale (sì che la società diventi talmente responsabile e capace di autogoverno da vivere come superfluo l’apparato istituzionale) e c’è l’anarchia volgare di chi vede l’abbattimento delle strutture statuali - anche se democratiche - come obiettivo prioritario rispetto ad un futuro incerto da inventare strada facendo. Quale delle due letture dell’anarchismo prevarrà nei giovani palermitani dell’area ‘autonoma’? Molti slogan della manifestazione di sabato non lasciano sperare il meglio. Sembrerebbe che vomitare odio e rabbia, con generalizzazioni false, costituisca già un fine soddisfacente. Saldare la loro protesta con la protesta degli amici dei due ragazzini vittime della propria imprudenza è stata un’operazione folle. Un prete può lasciarsi scappare, in un momento di commozione, la domanda angosciata del padre di famiglia che, davanti ai cadaveri dei propri figli, si chiede se fosse stato davvero necessario per la polizia inseguirli nottetempo mentre fuggivano contromano per la circonvallazione; ma la risposta lucida, politica, di chi non condivide l’a-legalità di stampo mafioso (di cui proprio quei ragazzini sono stati le ennesime vittime), non può che essere affermativa. Sì, era necessario inseguire due diciassettenni (in fuga perché alla guida di un motorino senza assicurazione, come gli hanno insegnato molti adulti ‘furbi’ del quartiere) per dare un segnale chiaro che Palermo non è ancora la terra di nessuno dove ricchi e poveri, anziani e giovani, possono fare ciò che vogliono. Proprio come è almeno altrettanto necessario che la polizia “insegua” gli autori di reati più gravi, anche se meno clamorosi, come l’abusivismo edilizio o gli imbrogli elettorali o l’evasione fiscale.
Per chi non condivide né la logica conservatrice dell’amministrazione di centrodestra né l’anarchismo paramafioso di chi si scaglia contro quei pezzi di Stato che, con mille deficienze e contraddizioni, provano a salvaguardare i valori democratici della Repubblica, non resta che un terzo scenario: interpretare i momenti di mobilitazione collettiva come un appello. Dunque protestare energicamente quando la polizia si comporta come al G 8 di Genova, ma solidarizzare con essa quando esercita - senza la minima prevaricazione - la propria indispensabile funzione. E, sull’altro versante, provare a dialogare con chi scende in strada in maniera altrettanto civile. E’ uno scenario - forse onirico - che vedrebbe gli intellettuali, i partiti politici, i sindacati, le chiese… in ascolto, attivo e fattivo, di questi ragazzi che, in maniera confusa e con linguaggi spesso errati, pongono un problema reale: gli spazi di agibilità dei giovani nelle città. Può darsi (lo si è visto, ad esempio, a proposito della lotta a fianco dei senza casa) che alcuni si vogliano impiccare alle parole d’ordine dei loro striscioni, chiudendosi nell’estremismo infantile di chi non discute con le istituzioni perché è concentrato nel tentativo disperato di abbatterle. Ma può darsi che altri, se vedono che gli adulti e le forze che si autodefiniscono democratiche, prendono sul serio le loro richieste legittime, possano evolversi da un’ottica di protesta sterile ad un’ottica di proposta progettuale. In ogni caso, una città rispettosa della legalità costituzionale non può continuare a trattare indistintamente i giovani ‘alternativi’ che cercano una sede dove riunirsi, dove fare musica, dove dibattere le loro opinioni politiche (discutibili come le opinioni politiche di qualsiasi altro cittadino) come una spina nel fianco da criminalizzare: deve offrire una risposta concreta, affidando gratuitamente alcuni dei tanti spazi pubblici inutilizzati a qualsiasi associazione ne faccia richiesta, a prescindere dal suo orientamento ideologico, purché si impegni a gestirli nel rispetto delle regole irrinunciabili della convivenza civile.
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